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Montalto Dora

Table of contents
1 La transizione neolitica
2 :La collocazione culturale e la datazione del Neolitico di Montalto Dora
3 :La vita nel villaggio neolitico
4 :L’economia
5 :REPERTI DAL LAGO DI MONTALTO: oggetti significativi dal repertorio
6 Sito dell'età del Ferro a Monte Appareglio
7 Premessa

La transizione neolitica

Il passaggio da un’economia basata sulla caccia e sulla raccolta – che ha accompagnato l’uomo per la gran parte della sua storia - ad un’economia basata invece prevalentemente sulla coltivazione e sull’allevamento stato certamente di estrema importanza. Fino a pochi decenni fa, era dato per scontato che tale processo avesse avuto origine da qualche parte in Medio Oriente, e che in qualche millennio la pratica dell’agricoltura si fosse diffusa, da Oriente ad Occidente, in tutto il bacino del Mediterraneo nell’Europa continentale. Le ragioni di tale passaggio rimanevano controverse. Venivano chiamate in causa alcune variazioni climatiche post-glaciali, che potevano aver reso pi fertili zone desertiche della Turchia meridionale, aumentando la piovosità; oppure una forte crescita demografica, sempre conseguenza del miglioramento del clima dopo la fine dell’ultima glaciazione, che aveva reso necessario aumentare la disponibiltà di risorse alimentari; oppure ancora la crescita della foresta, che aveva reso impossibile la caccia ai grandi branchi di selvaggina. Ciò che non si dubitava era il carattere quasi immediato – nella scala temporale della storia dell’umanità, calcolata in milioni di anni – del passaggio all’agricoltura. Il famoso archeologo inglese Gordon Childe, per sottolineare la velocità e la drammaticità del passaggio coniò l’espressione rivoluzione neolitica. Studi recenti di storia dell’agricoltura, unitamente a nuove tecniche di ricerca applicate all’archeologia, stanno mettendo in discussione teorie ritenute valide fino a qualche decennio fa. Il sempre maggior contributo che le scienze naturali danno alla ricostruzione degli aspetti della vita materiale dell’uomo durante la sua storia ci permettono di formulare nuove ipotesi ed aprono interessanti campi di indagine. L’attenzione degli studiosi si spostata, in questi ultimi anni, dallo studio delle forme e delle sintassi decorative degli oggetti all’analisi dei resti organici presenti negli insediamenti preistorici. Dai focolari provengono semi combusti o noccioli; depositi di ossa di animali, sottoposti a ricerca tafonomica per capire se sono stati macellati o semplicemente mangiati (G. Giacobini,1996) possono darci utili indicazioni sull’eventuale presenza di allevamento e/o domesticazione; lo studio dei fitoliti, corpi silicei di vegetali dalle dimensioni microscopiche che aumentano la rigidità dei fusti e delle foglie, presenti sopratutto nelle piante erbacee, dà un’indicazione sull’utilizzo prevalente del terreno, presupponendo che alte concentrazioni indichino una forte incidenza del pascolo (Nisbet, 1984); una particolare usura delle dentature dei resti umani può evidenziare un’alimentazione ricca di scorie silicee, e quindi ricondursi alla molitura dei cereali con macine di pietra; scheletri femminili con segni di usura alle ginocchia, agli alluci ed alla colonna vertebrale provano che le donne passavano molto tempo chine a macinare cereali, e quindi sono un altro segnale di economia basata sull’agricoltura ; infine, recente notizia che dall’analisi del DNA condotte su frumenti selvatici con il sistema di marcatura molecolare si dimostrato che la domesticazione dei cerali avvenuta tra la Turchia orientale e l’Irak nel 9000 circa a.C., nell’odierna zona del Karacadag. Quali quindi le teorie pi recenti sull’origine dell’agricoltura? Una sintesi chiara ed efficace contenuta nel libro di F. Giusti, La nascita dell’agricoltura, 1996. Dopo un’attenta disanima delle varie teorie sull’argomento, l’autrice conclude che la nascita dell’agricoltura dovuta a combinazioni diverse di vari fattori già in precedenza analizzati, a seconda delle aree nelle quali essa avvenuta. Accettato come centro di origine il Medio Oriente (la mezzaluna fertile) ove certamente un aumento della piovosità favorì la diffusione delle graminacee, gli stadi successivi della transizione sono assai meno lineari di quanto finora ipotizzato. L’uomo “paleolitico” – l’uomo cio che viveva esclusivamente di caccia e raccolta – aveva elaborato durante centinaia di migliaia di anni tecniche molto efficaci di controllo delle risorse alimentari. Tramite l’astinenza sessuale (le nascite venivano distanziate in modo da non costringere le madri al trasporto di prole numerosa durante gli spostamenti legati alla caccia), l’infanticidio o il senilicidio il rapporto tra i membri delle comunità ed il territorio disponibile veniva tenuto in costante equilibrio. La caccia e la raccolta venivano praticate in modo selettivo, favorendo la riproduzione della selvaggina o dei frutti selvatici; un’antica sapienza, ormai in gran parte perduta, permetteva di ricavare calorie e proteine da innumerevoli varietà vegetali. L’affermazione delle tecniche di coltivazione e allevamento procedette dunque anzitutto lungo direttrici che attraversavano terreni particolarmente favorevoli, come quelli formatisi per deposito di polveri portate dal vento (loess) nell’Europa centrale; seguì il corso di grandi vie fluviali, come il Danubio; ebbe successo nelle ampie vallate dei Balcani e della Grecia orientale, dagli inverni freddi e piovosi e dalle lunghe estati, ambiente ideale per la pastorizia e la transumanza; ma penetrò con difficoltà nelle fredde foreste del Nord Europa e nelle regioni poste ai bordi della catena alpina. In queste ultime in particolare, fenomeni di erosione e sedimentazione hanno creato ambienti favorevoli all’agricoltura di estensione assai limitata anche se diffusi in tutto l’arco alpino. Si tratta delle conoidi di deiezione, depositi alluvionali a forma appunto di cono posti allo sbocco di valli ripide e incassate, o dei terrazzamenti naturali, sacche di terreno soffice ed areato formatesi in conseguenza di fenomeni alluvionali contro sbarramenti rocciosi. A Breno, in Valcamonica, una comunità neolitica scelse appunto una conoide preferendola al terreno di fondovalle, ricoperto da dense foreste composte da querce, olmi, noccioli selvatici e tigli. Successive comunità di agricoltori – cacciatori continuarono ad abitare lo stesso luogo fino all’età del Bronzo, e tuttora le conoidi poste allo sbocco delle valli secondarie sono intensamente coltivate in tutte le Alpi, in particolare a vite od a frutteto. Le forme e le decorazioni dei vasi in ceramica - tecnica nata quasi ovunque assieme all’agricoltura - ci permettono di seguire passo passo il cammino degli influssi neolitizzatori, durato alcuni millenni, anche se non sempre abbiamo dati cronologici sufficientemente attendibili per stabilire una periodizzazione esauriente. La prima ondata giunse dal mare con la cultura della Ceramica Impressa, decorata con impressioni a crudo ottenute prevalentemente con la conchiglia del genere Cardium (da cui anche l’appellativo di Cardiale), su tutte le coste del Mediterraneo, fino alla Liguria, alla Francia merdionale ed alla Spagna. Un’altra ondata risalì il corso del Danubio, portando con s ceramiche decorate a linee incise (Linienbandkeramik), collane ottenute con conchiglie di genere Spondylus o altri bivalvi, figurine femminili in argilla. L’incontro tra i primi agricoltori e le comunità mesolitiche europee produsse numerose varianti regionali dei due filoni principali della Ceramica Impressa e della Linienbandkeramik. A Nord delle Alpi, si affermò la cultura delle ceramiche decorate “a punzone” (Stichbandkeramik), cultura generalmente nota come Cultura di Rossen, il cui centro di irradiazione era posto nel bacino meridionale del Reno. Ad Ovest delle Alpi la Cultura di Chassey, a contatto con il mesolitico attardato della Svizzera (cultura di Egolzwill) diede origine al Cortaillod, che attraverso i facili passaggi verso la Lombardia, alle soglie dell’età dei metalli influenzò la cultura lombarda della Lagozza . La cultura di Chassey ha lasciato tracce importanti in Valle di Susa.

La neolitizzazione della pianura padana e del versante Sud delle Alpi

Durante la prima fase della neolitizzazione, la pianura padana fu prevalentemente influenzata dalla cultura della Ceramica Impressa. Essa giunse nella zona occidentale dalla Liguria, attraverso le basse giogaie delle marittime e poi lungo il corso dei fiumi, come ad Alba, posta alla confluenza del Tanaro con il Po; nella parte orientale l’influsso giunse dall’Adriatico, mentre nel centro si svilupparono, sempre dallo stesso ceppo, la cultura di Fiorano in Emilia e nel Veneto, quella di Vho di Piadena nel mantovano e nel cremonese e dell’isolino Virginia nel varesotto. La cultura della ceramica impressa ligure presente in varie grotte della regione (Grotta di Pollera, Arma di Nasino, Arena Candide ed altre) ed separata dal sottostante livello mesolitico da uno strato sterile che denota un intervallo cronologico ben definito tra le due culture: i primi agricoltori occuparono la regione quando ormai le comunità mesolitiche si erano da tempo estinte. I manufatti in ceramica sono di impasto grossolano di colore grigio o rossiccio, hanno forme che comprendono vasi a fiasco , tazze emisferiche con prese e ciotole sferoidali con il bordo decorato a tacche. Le decorazioni sono prevalentemente composte da fasce distinte, quella superiore con motivi ad angoli multipli e quella ventrale eseguita a punzone, ad unghiate, ad impressioni trascinate (stab and drag), con il guscio della conchiglia Cardium ed a cordoni impressi orizzontali e verticali. Nella ceramica pi fine traslucida sono annoverate tazzine, bicchieri e forme a fiasco. Oltre alle industrie litiche di tradizione mesolitica compaione le asce in pietra verde, reperibile con facilità nella Alpi marittime. L’economia si basa su raccolta – in particolare di molluschi - caccia e uccellagione mentre l’agricoltura non sembra ancora del tutto sviluppata. La cultura di Fiorano presenta insediamenti in pianura e nella fascia pedemontana dell’appennno emiliano e del Veneto. In queste ultime zone i villaggi, ben individuati da numerosi fondi di capanna, sono prevalentemente posti alla base di conoidi fluviali. La cultura di Fiorano contraddistinta da una grande varietà di forme su ceramica fine comprendente tazze carenate con o senza anse, grandi scodelle a quattro anse, orci globosi e grandi giare decorate con cordoni semplici ed impressi, motivi a solcature lineari, foglioline e puntini. L’industria litica comprende bulini ad incavi e stacchi laterali, grattatoi frontali erti , perforatori, romboidi e microbulini. L’economia risente in modo significativo delle alternanze tra agricoltura/ allevamento e caccia/ raccolta. Gli insediamenti della cultura di Vho sono posti prevalentemente su aree elevate rispetto alla valle del Po e sono molto frequenti pozzi, pozzetti ed altri tipi di cavità sparse in modo irregolare attorno alle capanne. La ceramica fine comprende forme che vanno dai vasi a fruttiera con piccolo piede a tazze carenate con ansa a nastro e bugne sulla carena, a vasi a fiasco e a forma di tronco di cono con due anse; le decorazioni vanno dai cordoni plastici orizzontli e verticali alle bugne, alle impronte digitali, alle solcature appaiate ed ai motivi incisi a zig zag ed a chicco di grano; sono frequenti gli idoletti in argilla rappresentanti figure femminili. La cultura dell' Isolino di Varese caratteristica di una zona lacustre delle prealpi varesine dove le stazioni pi conosciute sono l' Isola Virginia e Pizzo di Bodio sulle sponde del lago di Varese. La ceramica si presenta con forme caratteristiche tipo vasi a fruttiera, forme ovoidi con bordi estroflessi, vasi con profilo ad S e bordo estroflesso e le anse a nastro variamente decorate; la sintassi decorativa varia da incisioni finissime di motivi geometrici generalmente triangolari e decorazioni plastiche tipo bugne, linguette, cordoni impressi e rigonfiamenti sugli orli. Il sito di Pizzo di Bodio stato datato durante scavi molto recenti dal 6320 +- 80 BP al 6050 +- 50 BP. ( D. Banchieri 1990 ) In Friuli la prima neolitizzazione presente a Sammardenchia e Fagnigola oltre ad una decina di siti molto pi limitati territorialmente e studiati in modo meno approfondito. Il primo un insediamento di media pianura, collocato sui terrazzamenti in un' area piuttosto vasta a poca distanza dal fiume Cormor. Essendo l' ubicazione in area molto fertile possibile che le potenzialità produttive dell' agricoltura fossero piuttosto alte e questa ipotesi confermata dall' estensione dell' antropizzazione, dalla lunghezza del periodo insediativo e dalla consistente densità abitativa. La ceramica ha notevoli componenti riferibili alla facies di Fiorano mentre la litica ha una forte caratterizzazione mesolitica con la presenza diffusa di elementi di falcetto e di utensili levigati, macine e macinelli oltre alla presenza di ossidiana. Fagnigola invece un insediamento di bassa pianura piuttosto umida per cui poco indicata per produzioni agricole, anche se ciò viene smentito dai resti di cultura materiale che ricalcano praticamente le componenti di Sammardenchia; alcune datazioni radiometriche datano il sito dal 6050 +- 90 al 5760 +- 160 B. P. ( B. Bagolini, F. Bressan 1990 ) L' areale alpino subisce le influenze del gruppo del Gaban per il Trentino ed un influsso dell' Isolino per la Lombardia con particolarità specifiche nel sito di Breno in Valcamonica. Il gruppo del Gaban presente in Trentino Alto Adige in ripari sottoroccia ed all'aperto; la ceramica decorata ad impressioni digitali, fasce di zig zag ed incisioni verticali e festoni di unghiate, mentre quella pi lucida e fine decorata con motivi graffiti a "note musicali". Nella fase pi recente della stratigrafia compaiono forme globose monoansate, tazze monoansate carenate e decorate con grandi triangoli incisi e bugnette doppie sulla carena e grandi orci ansati col bordo decorato da impressioni ad unghiate. L' industria litica denota la presenza di bulini, grattatoi microbulini e lame ritoccate. Decisamente caratteristici di questo gruppo sono le manifestazioni artistiche su osso, corno e supporto litico raffiguranti antropomorfi normalmente di sesso femminile legati ai culti sulla fertilità della grande madre ( Gimbutas 1990 ). In Piemonte nella parte meridionale della regione, troviamo il sito di Alba che ha forti influssi della ceramica impressa ligure e del gruppo del Vhò. È stato accertato che questa stazione appartiene al neolitico antico già con i materiali recuperati negli scavi di fine ottocento e degli anni '50, infatti la ceramica comprende un gruppo con sintassi decorative collegabili alla facies ligure ed un gruppo con influenze chiaramente padane. Nel primo gruppo troviamo forme troncoconiche e a fiasco con cordoni impressi a doppia fila di puntini e a forma di otto con prese a lingua raramente forate, di colore rossiccio e di buona finitura, mentre al secondo appartengono i vasi a fruttiera, forme aperte con tacche sul bordo e vasi troncoconici con orlo a lobi. Molto ricorrenti le decorazioni incise sia a crudo che sulla superficie essiccata con tratti sottili a formare reticoli geometrici (chevron) sia sulle pareti che sulla parte superiore delle anse a nastro. L' industria litica in selce di buona qualità proveniente dalle aree prealpine venete ( Lago di Garda e Monti Lessini ) presenta forme di bulini, geometrici, troncature, raschiatoi ed elementi di falcetto. Da ricordare il frammento superiore di una statuetta fittile riconducibile per fattura a quelle del gruppo di Vhò di cui presenta strette analogie anche per la presenza di un pozzo per il prelievo dell' acqua di falda. Brignano Frascata in provincia di Alessandria ricalca le facies ceramiche e litiche di Alba anche nella presenza di antropomorfi ceramici legati ai culti della fecondità della madre terra e la presenza di elementi di falcetto con superficie lucida, pollini di graminacee e leguminose e impronte di cariossidi nei pavimenti delle capanne indica in ambedue le stazioni un ambiente dove la domesticazione vegetale ed animale (presenza di resti di ovini, caprini, bovini gracili ed adulti e suini) era largamente praticata. ( Gambari-Venturino Gambari 1995) Il sito del Cristo di Alessandria ha affinità in special modo nella litica con il neolitico antico mediopadano, mentre la Boira Fusca di Salto ha restituito una piccola parte di industria confrontabile con gli orizzonti dela ceramica impressa ligure. Da menzionare anche i siti di Treiso ( CN ) Villa del Foro ( AL) e Tortona (NO). In Val Susa i numerosi siti esaminati presentano evidenze legate al periodo di piena neolitizzazione, ma niente che possa ricondurre ad orizzonti culturali del neolitico antico, come potrebbe invece indurre a pensare il riparo sotto roccia di Balm' Chanto nell' adiacente Val Chisone dove era presente un bivacco epigravettiano di cacciatori-raccoglitori. Anche qui però notevole la frattura temporale tra l' industria mesolitica e la ceramica ( 2972 frammenti ) dell' età del Rame. ( Nisbet-Biagi 1987 ) La Valle d' Aosta per ora non ha restituito tracce di una precoce neolitizzazione infatti i siti di questa fase preistorica importante per le grandi trasformazioni culturali ed economiche si riduce alle necropoli di Vollein e Villeneuve del neolitico finale.

La seconda fase della neolitizzazione europea vide nella pianura padana l’affermarsi di una cultura che, pi di ogni altra, costituì un fattore unificante con una forte carica propulsiva: la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. Essa deve il suo nome alla forma dell’imboccatura di alcuni vasi, sempre presenti negli insediamenti e nelle sepolture, tanto da costituire un fossile guida, vasi che secondo i periodi hanno assunto forme diverse, mantenendo però sempre l’imboccatura quadrata o quadrilobata . La cultura dei VBQ durò circa 1500 anni, cio dal 4500 al 3000 a.C., in datazione calibrata, e nei luoghi ove essa si sovrappose al Neolitico antico padano (come ad Alba) la frattura nella stratigrafia appare sempre molto netta, tanto da far pensare all’arrivo forse talvolta non proprio pacifico di una popolazione alloctona.

Il Neolitico in Canavese

Quale era dunque l'ambiente che si presentò agli occhi dei primi colonizzatori agricoli dell'anfiteatro morenico di Ivrea? Dopo la fine dell’ultima glaciazione, quella di Wurm, pi o meno 12.000 anni or sono, l’unico ambiente vivibile nell’arco alpino erano i rilievi, ove un ecosistema comparabile a quello dell’attuale tundra sub-artica costituiva un habitat ideale per numerosi branchi di ungulati (camosci, stambecchi, capridi selvatici). Alla fine della glaciazione fece seguito un periodo relativamente breve di forte aumento della temperatura, con conseguente rapido sviluppo della foresta nelle zone di pianura . A qusto periodo seguì un peggioramento, della durata di circa un millennio, che ridusse nuovamente la vegetazione, per arrivare infine alla fase climatica Boreale, quella della definitiva scomparsa dei ghiacciai dalle zone di pianura. I diagrammi pollinici ci mostrano, a partire dal 6000 a.C., una forte crescita delle specie arboree, fino a quote molto elevate, favorita da un clima significativamente pi caldo ed umido di quello attuale (fase climatica Atlantica) . Mancavano alcuni alberi che oggi ci sono così famigliari, come il castagno, arrivato con la conquista romana, la robinia, di origine americana; altri erano meno diffusi, come la betulla, specie colonizzatrice di disboscamenti recenti. Una grande foresta ricopriva la pianura ed i fianchi delle montagne, nella quale le quercie, talvolta gigantesche, dominavano la scena, accompagnate in pianura da frassini, olmi, carpini, tigli e pioppi, mentre in quota ai pioppi si sostituivano il pino e l’abete bianco. Il notevole contingente di spore di felci, assieme ad altre entità indicatrici di ambiente umido e di ristagni d’acqua , completavano il quadro di una selva attraversata da fiumi e torrenti dal corso incerto e punteggiata da una miriade di specchi d’acqua. I siti che hanno restituito reperti attribuibili al neolitico sono gli alti morfologici del castello di S. Martino, S. Maria di Doblazio e Panier a Pont Canavese, la Boira Fusca e Navetta a Salto, Monte Cordolo a Fiorano e la collina castellamontese di Filia. I rimanenti due siti sono perilacustri, appunto Montalto e Viverone. I siti in altura attualmente infestati dalle robinie e dal castagno (che compare in Italia nell' età del ferro) erano allora popolate da essenze tipo betulle, roverelle, faggi, pino bianco; la pratica del taglia e brucia (burning agricolture) per creare radure, bonificando e fertilizzando i soffici terreni dei terrazzi può aver indotto le comunità ad iniziare la domesticazione dei cereali presenti allo stato selvatico, coltivabili con attrezzature limitate a strumenti di legno indurito sul fuoco. La vegetazione e la collocazione in altura avranno sicuramente favorito la domesticazione ovocaprina senza tralasciare comunque le oscillazioni tra allevamento e caccia ai camosci sicuramente presenti a quote appena superiori. La grottina di Salto denominata Boira Fusca stata la prima negli anni ’70 a rivelare la presenza di resti prestorici, dal paleolitico inferiore all’età del Bronzo, oltre a segni di presenza fino ad epoche assai recenti. Nel livello inferiore ad una serie di sepolture del Calcolitico lo strato neolitico ha restituito utensili in quarzite, selce, opale e cristallo di rocca, oggetti in ceramica riconducibili al Neolitico antico (V millennio a.C.) ed altri fittili accostabili alla cultura del V.B.Q. padano nella sua fase media (IV millennio a.C.). Frammenti di lame a ritocco erto, una punto a dorso a spalla ed un paio di punteruoli hanno riscontro nel neolitico antico della ceramica impressa ligure mentre solo due frammenti di ceramica rossastra sembrano accostabili a questo orizzonte, tenendo conto del fatto che la datazione dei frammenti ceramici privi di decorazione sempre molto problematica (Fedele, 1981). Il secondo sito individuato San Martino Canavese, sulla collina ove si trovano i resti del cosidetto castello di Re Arduino. Dopo una piccola frana, venne alla luce una “lente” di suolo antico, molto visibile nella sezione dello smottamento per la colorazione scura in contrasto con il tessuto chiaro del terreno. La lente conteneva frammenti ceramici con incisioni “a filo spinato”, a stecca, a striature verticali, ad impressioni trascinate (stab and drag), parti taglienti e talloni di asce in pietra verde, una punta in selce rossa. Il ritrovamento pi interessante fu una statuetta in argilla raffigurante una figura femminile, ricollegabile al culto delle dee madri, diffuso in tutta Europa (ad esempio alle Arene Candide ed a Rivoli veronese), di probabile ascendenza danubiana e quindi di origine “orientale”. La costruzione del castello medioevale ha putroppo ridotto l’ampiezza del paleosuolo neolitico sia con i muri perimetrali che con lo sconvolgimento apportato all’interno da successivi abbasamenti del suolo. Ad un’ora scarsa di cammino dalla Boita Fusca di Salto si trova il santuario di Santa Maria di Doblazio. Il luogo era da tempo noto ai ricercatori per l’abbondanza di talloni di asce in pietra rinvenuti nei dintorni dell’altura. Sulla sommità della stessa, visibile dal fondovalle, un enorme masso erratico porta incise alcune coppelle. A metà degli anni ’80 uno sbancamento effettuato per opere edilizie mise in luce una serie di frammenti ceramici che permisero la collocazione cronologica del sito preistorico. L’orizzonte culturale il Vaso a Bocca Quadra padano, le decorazioni significative sono excisioni meandrospiraliche sulle pareti e motivi a zig zag sui bordi con grandi anse a nastro, prese a lingua, tutte appartenenti alla fase media del VBQ padano. La presenza di un dente probabilmente umano fa pensare ad inumazioni collegate con i ripari utilizzati per le capanne. Sulla sommità dell’altura ai piedi del masso erratico coppellato, ove uno scavo ha messo in luce una capanna dell’età del ferro, stata rinvenuta una pintadera fittile con motivi a zig zag. L’incisione antropomorfa rinvenuta a Panier posta su un terazzamento a circa un chilometro da Santa Maria, l’analoga di Navetta attualmente esposta al Museo civico di Cuorgn ci danno un.indicazione della notevole densità di popolazione durante il Neolitico, con insediamenti distanti fra di loro al massimo mezza giornata di cammino. Altre presenze neolitiche non collocabili cronologicamente in modo preciso sono le due asce in pietra rinvenute a Filia durante lavori di aratura (FIG??) ed un frammento probabile di VBQ trovato a Fiorano durante una campagna di scavo in un terrazzamento. Si tratta di ambienti aperti verso la pianura, in posizioni dominanti , a quote variabile tra i 300 ed i 500 metri, bene esposti. I terreni argillosi e pesanti della collina di Filia potrebbero aver favorito la raccolta di frutti spontanei (bacche, pugne e mele selvatiche), mentre i terreni pi leggeri della collina di Fiorano potrebbero essere stati oggetto di coltivazione cerealicola: a dimostrazione della convivenza, in età neolitica, delle tecniche di caccia e raccolta con quelle di coltivazione e allevamento. Convivenza che, con alterne vicende, stata caratteristica della zona montana finoa pochi decenni or sono.

Il Neolitico di Montalto Dora

= Il ritrovamento
=

Nel 1977 un’alluvione (la stessa che mise in luce i piloni del pons maior di Eporedia) costrinse le autorità municipali a svuotare parzialmente il Lago di Montalto, o lago Pistono, riportandolo così al livello "naturale". Il livello infatti che vediamo normalmente dovuto ad un piccolo sbarramento costruito per alimentare una attività molitoria. Dopo l'abbassamento del livello del bacino, vennero rinvenuti ad opera di Ermanno Vigliani moltissimi frammenti ceramici, strumenti in pietra levigata ed in quarzo, un utensile in osso, un vago di collana ricavato da un fossile, un frammento di selce. La notizia del ritrovamento fu resa nota ad alcuni studiosi canavesani e fotografie dei pi significativi comparvero su pubblicazioni locali. Qualche anno dopo i reperti mi furono consegnati, affich li consegnassi a mia volta alle autorità competenti, ottemperando così agli obblighi di legge. Lo scopritore, che durante il periodo in cui ne fu in possesso li aveva utilizzati per integrare la propria attività didattica, dichiarò di non averli consegnati subito alla Sovrintendenza per evitare che oggetti tanto importanti per un piccolo angolo di mondo, "sparissero, come tante altre cose, nella cantina di qualche museo... " La quantità degli oggetti ritrovati notevole. Molti assolutamente indecifrabili, privi di forma o di ornamento, utilizzabili esclusivamente per elaborazioni statistiche sulle frequenze di colori o spessori. Altri, certamente non appartenenti ad un orizzonte preistorico, come il fondo di un recipiente tornito in pietra ollare, anelli di ferro, una punta sempre in ferro; qualcuno misterioso, come il facsimile in pietra di un coltello, rotto in diversi frammenti; ma i rimanenti (125) costituiscono un documento di estremo interesse sulla vita di una delle pi antiche comunità canavesane. La presenza di alcuni vasi dalla forma particolare - a bocca quadrata, o quadrilobati - ci permette inoltre di collocare con certezza i reperti nel periodo del Neolitico Padano, ovvero tra il 4500 ed il 3000 a. C. (in datazione non calibrata )., tra la scoperta dell’agricoltura e quella della metallurgia. La ceramica costituisce il grosso dei materiali, accompagnata da una consistente industria su pietra levigata, da utensili in quarzite (utilizzata in sostituzione della selce, non presente in Canavese ), da un solo frammento di selce, da uno strumento in osso e da un fossile forato per essere utilizzato come vago di collana o come pendente.

Il luogo, l’ambiente

Elementari misure di prudenza, volte alla tutela del nostro patrimonio archeologico, mi impediscono di specificare il luogo esatto del ritrovamento. Una spiaggetta sulle rive del Lago Pistono, in un ambiente naturale - quello dei laghi morenici - sostanzialmente immutato dal punto di vista morfologico dalla fine dell'ultima glaciazione ai giorni nostri, ma che dal punto di vista paesaggistico - ambientale doveva apparire piuttosto diverso 5 - 6000 anni fa, al periodo cio cui si ritiene appartengano gli oggetti ritrovati. L'ambiente dei cinque laghi infatti stato profondamente modificato dall'uomo. I Romani furono probabilmente i primi, con la costruzione del noto acquedotto, ad apportavi modifiche considerevoli. Viadotti, gallerie, e le relative strade di accesso per il trasporto di materiale e per la mano d'opera costituirono certamente quello che oggi definiremmo un bell' "impatto ambientale". In epoca pi vicina a noi, a partire dal Rinascimento , per poter ricavare terreno coltivabile, furono costruiti numerosissimi terrazzamenti, con opere talvolta di notevole entità realizzate in pietra a secco. Il popolamento della zona rese necessarie strade e sentieri, molti dei quali selciati con cura. Infine durante il secolo scorso, l'attività estrattiva di torba contribuì, con il conseguente svuotamento di piccoli bacini lacustri, ad ulteriori ed importanti modifiche del territorio. La recente generale decadenza delle pratiche agricole in Canavese ha ricondotto a bosco parti consistenti di terreno anche qui, nel parco dei cinque laghi, rendendo l'attuale paesaggio - anche se di poco - pi vicino a quello che circondava il villaggio neolitico di quanto non fosse solo cinquant'anni fa.

La collocazione culturale e la datazione del Neolitico di Montalto Dora

La ceramica ci fornisce i principali elementi di collocazione culturale e di datazione. Il repertorio ricco di forme e di decorazioni ciascuna delle quali trova precisi e numerosi riscontri in altre località dell'Italia settentrionale e della Liguria. Le forme caratterizzanti sono i vasi quadrilobati o V.B.Q. (FIG), l’olla ovoide (FIG), le anse (FIG) e le prese triangolari od a linguetta (REP, M5, M6). Le decorazioni utili a stabilire un inquadramento culturale sono le impressioni trascinate od a scorrimento, ottenute tramite una stecca lignea impressa e poi trascinata sull’impasto crudo (FIG, tecnica detta dello stab and drag), tracciate sotto il collo dei recipienti in linee parallele; le decorazioni a punzone in doppie file parallele (FIG) sulle pareti; le tacche oblique sull’orlo dei vasi (FIG), in particolare se ricavate esclusivamente all’interno del bordo stesso (REP, M18). I frammenti di vasi quadrilobati ci permettono di attribuire con sicurezza i reperti al Neolitico VBQ padano, ma non bastano da soli a situarli con maggiore precisione nel periodo antico, medio o recente di quella cultura. Secondo la cronologia di Barfield, ripresa e meglio precisata dal Bagolini , tuttora universalmente accettata, si possono infatti distinguere tre periodi del VBQ: 1 - Antico, caratterizzato da stanziamenti vicino a laghi o corsi d’acqua , con decorazioni ottenute da motivi geometrici graffiti, vasi a bocca quadrata ad alto collo, vasi grossolani (olle ovoidi, Barfield, 1971, pag.42) decorati con la tecnica stab and drag. I VBQ vengono ottenuti per pressioni diagonali incrociate su vasi a bocca rotonda; 2 - Medio, caratterizzato da stanziamenti su versante o su alto morfologico, decorazioni excise a motivo triangolare, decorazioni meandro - spiraliche su VBQ a impasto fine, mentre la ceramica grossolana ha le caratteristiche del periodo precedenti. Sono presenti pintadere e idoletti fittili femminili. I VBQ sono ottenuti per schiacciamento su superficie piana di forme rotonde; 3 - Recente, con stanziamenti su colline in posizione dominante o fortificabile, decorazioni a cannuccia ed a punti sotto l’orlo a triangoli, a lisca di pesce; sono presenti cordoni impressi a polpastrello. I VBQ sono ottenuti per “stiramento” dei quattro beccucci.

Inoltre, alcune caratteristiche vengono fatte risalire a persistenze della precedente cultura del Neolitico antico, quella della Ceramica Impressa: impasti grossolani a pareti spesse, poco levigate, di colore grigio e rossiccio; ciotole sferoidali a bocca ristretta; prese triangolari (De Marinis, 1985, pag. 17); fasce orizzontali o verticali, utilizzo del punzone, decorazioni a unghiate (Bagolini, ibidem). Che considerazioni possiamo fare sulla ceramica di Montalto? L’attribuzione “ad un momento finale della fase media della cultura VBQ” (Luzzi, 1996, pag.139) e gli “stringenti confronti con l’Isolino” mi sembrano affermazioni un pò affrettate e categoriche. Infatti, se analizziamo i reperti, vedremo che: 1 - sono presenti decorazioni eseguite con la tecnica stab and drag; tacche oblique all’interno dell’orlo; orli decorati a tacche (15 su 59); prese triangolari (5); prevalenza di colori grigi-rossicci (34 su 59); prevalenza di impasti grossolani e lavorazione rozza (40 su 59); 2 - mancano invece decorazioni excise meandriformi, pintadere o idoletti fittili, caratteristiche appunto della fase media, e presenti in altre località del Canavese . 3 - manca in particolare la ciotola con decorazione incisa a triangoli capovolti, tipica dell’Isolino di Varese, e presente anche a Ghemme (F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) D’altra parte, i pochi frammenti ritrovati non permettono di capire se i vasi quadrilobati siano ad alto collo, e non mi stato possibile determinare esattamente se si tratta di beccucci ottenuti per pressioni oblique o per stiramento: quello che certo, che non sono stati ottenuti per appiattimento, come quelli della fase media, ad esempio di S. Maria di Doblazio o dell’Isolino.

Sembra quindi di poter concludere, sulla base di quanto stato trovato finora (uno scavo potrebbe mettere in luce altri oggetti, e quindi portare ad altre conclusioni: ma in archeologia questo sempre vero,e quindi bene ragionare su quanto si ha) che la collocazione cronologica può essere la fase antica o recente del VBQ padano, ma non la fase media.Se a questo aggiungiamo l’insediamento in prossimità di un lago, tutte le caratteristiche enumerate al punto 1), ritenute universalmente caratterizzanti la fase antica, o addirittura sopravvivenze della Ceramica impressa, l’attribuzione al primo momento del VBQ padano sembra la pi plausibile. L’industria su quarzite meno significativa per una collocazione cronologica: ma l’unica indicazione che possiamo trarre dai pochi reperti a disposizione il ritocco piatto, non invadente, ben visibile sul grattatoio (REP, MQ1, FIG???), caratteristica riconducibile alla fase antica del VBQ padano, mentre la cultura della Ceramica impressa accompagnata dal ritocco erto (Bagolini, ibidem). L’industria litica, caratterizzata da forme molto legate alla funzione, non ci dà alcun elemento significativo di collocazione, che non sia quella genericamente neolitica. Ipotizzata quindi per Montalto l’appartenenza alla fase antica del VBQ, con una datazione intorno al 4500 a.C., possiamo chiederci quale sia la sua posizione culturale e cronologca nell’ambito del Neolitico canavesano. I siti neolitici finora noti sono S. Maria di Doblazio, attribuibile con certezza alla fase media (meandriforme, pintadera); S. Giovanni, appartenente alla stessa fase (idoletto femminile fittile); Fiorano e Boira Fusca, non collocabili data la scarsità di reperti, anche se per Boira Fusca difficile presupporre una datazione diversa da St. Maria. Ma trattandosi di posizioni su alto morfologico o su posizione dominante (Fiorano, S. Giovanni), sembra di poterli ricondurre comunque alla fase media. Sono trascurabili per la datazione altri “segnali” neolitici, come gli antropomorfi di Panier e Navetta, e le numerose asce in pietra ritrovate fuori contesto, ancora pi difficilmente attribuibili ad altro che non sia un generico orizzonte Neolitico. Tutto fa quindi supporre, in attesa di prove contrarie, che il villaggio di Montalto Dora sia stato il primo insediamento della cultura VBQ in Canavese. Avendo formulato questa ipotesi, che, teniamo a ribadire, uno scavo stratigrafico con la raccolta di altri elementi potrà benissimo smentire, viene ora la domanda successiva: da dove sono venuti i “neolitizzatori canavesani”? I pochi reperti attribuiti al Neolitico antico rinvenuti nel grottino di Salto di cui prima abbiamo fatto menzione fanno pensare ad una provenienza occidentale, ligure, giunta in Canavese dal Piemonte meridionale, seguendo o la fascia pedemontana o i fiumi. Ciò rafforza la tesi recente secondo la quale la neolitizzazione della pianura padana occidentale non proviene da Est. In particolare per quanto riguarda il Piemonte, le stazioni neolitiche di Alba hanno fornito, sulla base degli studi pi recenti (AA.VV.,1995; F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) testimonianze tali da far supporre un’origine “ligure” del Neolitico piemontese, ovvero hanno confermato la presenza di una “componente occidentale” Neolitica in Piemonte. Sulle orme dei primi agricoltori venuti dal mare, che varcarono le Alpi marittime e lungo il corso del Tanaro giunsero ad Alba per stabilire una nuova colonia, arrivarono quasi mille anni dopo i portatori della cultura del Vaso a Bocca Quadrata.. L’importanza e la lunga vitalità (1500 anni) della stazione neolitica albese, testimoniata da numerosi siti ed altrettanto numerosi reperti, viene fatta risalire (F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) al commercio della pietra verde , che dai giacimenti del Piemonte veniva trasportata fin nella Scozia. La posizione su una via d’acqua navigabile non può far altro che rafforzare quest’ipotesi. Ma un giacimento importante di pietre verdi segnalato (Barfield, 1996) sulla Dora Baltea proprio all’imbocco della Valle d’Aosta, corridoio di transito da e per il Nord Europa dai tempi pi remoti (vedi Gallay, 1986, pag 91, su di un’ascia in pietra ritrovata sul sentiero del colle del Teodulo). Anche a Montalto Dora il corredo litico particolarmente ricco, per quantità e tipologia di materiale e non mancano i “semilavorati” (REP, ML3; ML5): e quindi non sembra azzardato ipotizzare che da Alba, su una delle vie delle pietre verdi, un gruppo di neolitizzatori abbia stabilito pi a Nord un avamposto vicino ad un giacimento importante e su una importante via di commercio del materiale. Dall’insediamento montaltese possono essersi originate le altre comunità neolitiche canavesane, o per esaurimento della fertilità del suolo , o per pressione demografica, o per entrambe le ragioni. Il fatto che i successivi insediamenti siano, in Canavese come in tutta l’Italia settentrionale, posti su alture difendibili, testimonia una situazione di conflitti diffusi, e quindi di una rarefazione delle risorse. Qualunque ne fossero le ragioni, a qualche secolo di distanza dalla fondazione del villaggio di Montalto, altre numerose comunità di agricoltori/ coltivatori/ cacciatori popolavano il Canavese.

La vita nel villaggio neolitico

Abbiamo utilizzato fin qui, impropriamente, la parola “villaggio”: il realtà gli insediamenti del Neolitico nella zona alpina erano generalmente costituiti da una capanna nella quale viveva un solo nucleo famigliare “allargato ”, circondata da locali accessori. Sovente le capanne erano appoggiate contro una falesia rocciosa, sfruttatta come parete e come regolatore termico, secondo un uso comune nell’arco alpino. Ulteriori ricerche potrebbero mettere in luce, nei dintorni del lago, capanne appunto con queste caratteristiche.

L’economia

La grande quantità di reperti ci permette una ricostruzione abbastanza precisa della vita di quella antica comunità. Sicuramente veniva praticata una rudimentale forma di agricoltura, dopo aver disboscato e fertilizzato il terreno con gli incendi, rivoltando i suoli leggeri con strumenti in legno, dalla punta indurita con il fuoco. Le macine ed i macinelli, tutti consunti dall’uso, testimoniano l’importanza nell’alimentazione dei cereali: ma come in tutte le comunità Neolitiche europee, ed in particolare quelle dell’area alpina, la caccia e la raccolta costituivano ancora una componente fondamentale dell’economia. Fino all’epoca romana infatti, i diagrammi pollinici ci segnalano sì, a partire dal Neolitico, la presenza di pollini di cereali o di specie ruderali, accompagnatrici della presenza umana , ma la diminuzione delle specie arboree poco marcata, a testimonianza di una sempre consistente presenza della foresta. Il gran numero di pesi da rete ritrovati (29, e si tratta per ora dell’unico ritrovamento del genere in Italia) sono la prova di quanto i primi Montaltesi tenessero in conto la pesca, probabilmente pi della caccia, vista l’assenza tra i reperti del villaggio di utensili sicuramente riconducibili a questa attività (punte di freccia, trancianti trasversali ). Il villaggio era autosufficiente: tra lo strumentario litico sono presenti oggetti che servivano a sbozzare le asce (i percussori, REP, ML10; incudini, affilatoi) od a ritoccare i frammenti di quarzite per ricavarne bulini, grattatotoi, raschiatoi. Un ritrovamento molto interessante, finora probabilmente unico, il punzone in osso (REP, MO1; FIG??) utilizzato per lavorare, appunto a punzone, proprio la ceramica ritrovata nel villaggio: REP, M15; FIG??? : le impronte corrispondono perfettamente. Il degrassante, cio la sostanza inerte mescolata all’argilla per renderla pi resistente al fuoco durante la cottura , era ricavata dalla macinatura di rocce locali, come ci provano gli inclusi di biotite, quarzite e mica - macinatura eseguita utilizzando qualcuna delle macine e dei macinelli trovati, ad esempio ML18 e ML21, che recano appunto abbondanti tracce di mica. Sicuramente queste molteplici attività non venivano eseguite da artigiani a tempo pieno, ma di specialisti a tempo parziale, che prendevano anche parte alle attività di ricerca o produzione del cibo, così come fino a poco tempo fa avveniva ancora sulle nostre montagne. Il poco surplus prodotto dalla comunità veniva dedicato a scambi con comunità vicine, per sopperire ai periodi di carestia, od a commerci a raggio pi vasto, che potevano ad esempio provvedere allo scambio della pietra verde (grezza o semilavorata) con altre merci.

Gli ornamenti

In attesa di opportune analisi chimiche, non sappiamo se su qualche macina, anzich cereali, sia servita a preparare coloranti a base di ocra, uso comune fino dal Paleolitico; certamente gli abitanti del villaggio si adornavano di collane e pendagli, fatti di conchiglie, ma anche di ciottoli forati. A Montalto si trovato un pendaglio ricavato da una conchiglia fossile, forse proveniente da una delle brecce fossilifere canavesane. (REP, MF1)

I culti

Secondo Fedele (Fedele, 1988, pagg.86 e sgg.) , i neolitici camuni intendevano l’abitazione come una creatura, cha andava fatta “nascere” consacrando o propiziando lo spazio domestico, e che al termine della vita andava “uccisa”, per esempio spezzando le macine abbandonate, o altre pietre precedentemente utilizzate. Segni di un culto di questo tipo potrebbero essere i reperti ML13 ed ML14, un utensile ed una macina spezzati, anche se in assenza di uno scavo stratigrafico non possibile dire se fossero stati spezzati e sepolti, come accadde al Castello di Breno circa 4000 anni prima di Cristo, quando la capanna fu abbandonata. I segni di frattura rilevati non sono comunque recenti. Altro segno di un culto delle pietre “esotiche” potrebbe essere il reperto ML16, frammento di vulcanite, pietra certo non di provenienza canavesana, che forse accompagnava come un amuleto i neolitici di Montalto, o forse fu scambiato con qualche ascia in pietra verde.

= REPERTI DAL LAGO DI MONTALTO: oggetti significativi dal repertorio

CERAMICA

omo.= omometrico; dec. = decimi di millimetro; mil. = millimetrico; diam. = diametro approssimativo dell'orlo se compreso nel frammento, del piede o della parete se isolata. Tutte le misure sono in millimetri.

cod. Ddescrizione impasto degrassante colore int. colore est. diam. spess. misura materiale max min M2 Frammento di parete di vaso ovoidale, con orlo a tacche e due file di "impressioni trascinate" sotto l'orlo medesimo. Superf. non lisciata. Grossolano eterom.max. mil. quarzitemica marrone scuro marrone chiaro 440 8,2 6,2 M3 Frammento di orlo di vaso quadrilobato (VBQ). Pareti ben lisciate. Semifine eterom.max. mil. quarzitemica marrone marrone 10 5,3 M4 4 Frammenti incollati di orlo di vaso quadrilobato(VBQ). Pareti lisciate con degrassante rilevabile al tatto. Semifine om./ mil. quarzite marrone marronerosato chiaro 7,3 5,1 M5 2 Frammenti di parete di vaso a grandi dimensioni con presa triangolare. Lavorazione rozza Grossolano eterom.max 7mm quarzitemica marronescuro marronechiaro 420 11,3 7,1 M6 Frammento di parete di vaso di grandi dimensioni con presa triangolare. Interno lisciato, esterno ruvido Grossolano eterom.max 4mm. quarzite grigio legg. rosato marrone 400 13 9 M13 2 frammenti di parete con orlo decorato a tacche. Lavorazione rozza Grossolano om./mil quarzite camoscio chiaro rossiccio 10 7,4 M15 Frammento di parete con ansa e decorazione a due ordini di impressioni ottenute con punteruolo. Grossolano eterom.max 2mm. quarzitebiotite rossiccio camoscio 8 5,8 M18 4 frammenti di parete di vaso di grandi dimensioni. Orlo decorato a tacche; sotto l’orlo, due file di impressioni (ungueali?). Lavorazione rozza Grossolano eterom.max. 6mm quarzitemica bruno brunorossiccio 8,7 5 M19 Frammento di orlo estroflesso decorato a due ordini di tacche impresse su doppia fila. Lavorazione rozza Grossolano eterom.max 2mm quarzite grigio chiaro grigio chiaro 9,5 4,9 M21 Frammento di parete con "impressione trascinata". Lavorazione rozza Grossolano om./mil. quarzitemica grigio scuro rossiccio 7 5,5 M24 Frammento di orlo di vaso VBQ decorato a tacche poco impresse. Superfici ben lisciate. Semifine omo./dec quarzite rossiccio rossiccio 7,8 5,5 M25 Frammento di orlo estroflesso decorato a tacche profondemente impresse e da una linea di tacche a "impressione trascinata". Lisciatura esterna sommaria, interna accurata. Grossolano eterom.max 7mm quarzitemica bruno cuoio scuro 9 5 M34 Frammento di orlo decorato a tacche, da una linea di tacche impresse sotto il bordo e da "impressioni trascinate". Lisciatura esterna sommaria, interna accurata. Grossolano eterom.max 3mm quarzite bruno camoscio 7,1 5

QUARZITE, SELCE e OSSO

codice Descrizione dimensioni mm. MQ1 Grattatoio in quarzite. Ritocco piatto. Una delle due facce presenta segni di usura 21 * 10 * 6 MQ4 Frammento in quarzite di forma trapezioidale, con segni di stacco su entrambe le facce 34 * 28 * 14 MQ5 Raschiatoio in quarzite di forma semicircolare, ritocco piatto su entrambe le facce. 54 * 30 * 11 MQ7 Frammento di quarzite di forma allungata (bulino?), con segni di stacco su di una faccia. 65 * 28 * 13 MQ8 Raschiatoio in quarzite di forma allungata, con segni di stacco su entrambe le facce. 66 * 27 *10 MQ9 Grattatoio di quarzite, con segni di stacco su entambe le facce. 46 * 38 * 16 MQ10 Frammento di quarzite a forma fogliata, con segni di stacco su entrambe le facce. 54 * 39 * 11 MS1 Frammento di selce grigia, a forma sub triangolare, con segni di stacco su entrambe le facce. 33 * 18 * 9 MO1 Scheggia d'osso 38 * 9 * 3

Altro

MF1 Oggetto dall'apparente aspetto di un fossile, forato su di una estremità da un foro non perfettamente circolare. 26 * 20 * 5foro 5,3

REPERTI LITICI

codice Descrizione Pesogr. dimensioni mm. ML1 Ascia con tallone appuntito, in pietra verde locale (giadeitite). Tagliente perfettamente conservato. 78 * 37 * 17 ML2 Ascia con tallone appuntito, in pietra verde locale(onfacitite). Tagliente scheggiato in tre punti. 89 * 36 * 19 ML3 Ascia con tallone appuntito, in pietra locale di colore giallo - bruno. Forma irregolare, lavorazione rozza, tagliente poco affilato. 103 * 41 * 21 ML4 Ascia con tallone appuntito, in gneiss. Forma regolare, tagliente poco affilato e scheggiato. 128 * 48 * 23 ML5 Ascia con tallone appuntito, in eclogite. Forma regolare, lavorazione rozza, tagliente scheggiato in diversi punti. 140 * 53 * 21 ML6 Ascia con tallone piatto, in scisto locale. Forma regolare, tagliente consunto e scheggiato. 83 * 53 * 27 ML9 Utensile di forma allungata rotto in tre parti. Ricorda un coltello con manico ad un solo taglio. La punta spezzata. 135 * 24 * 18 ML10 Percussore in pietra scura, di forma appiattito - rettangolare, con segni di usura. 99 * 39 * 18 ML13 Frammento di oggetto di forma oblunga in pietra scistosa. Spaccatura trasversale netta non recente, sezione circolare. 73 * 51 * 42 ML14 Macina rotta i due parti. Molto appiattita, reca tracce di usura su una delle due facce. 160 * 73 * 22 ML15 Pestello in pietra verde locale (giadeitite). La pietra presenta leggere scalfitture in senso longitudinale, apparentemente naturali. 130 * 32 + 15 ML16 Frammento di pietra esotica (vulcanite) piatto di froma rettangolare. Su di un fianco si presenta con una frattura molto netta. 90 * 38 * 11 ML17 Oggetto ricavato da un sasso appiattito, con due tacche sui fianchi (come per favorirne la legatura) 72 * 51 * 15

Ed inoltre altri 28 oggetti come ML17, tutti ricavati da sassi piatti locali (gneiss, serpentino) con due tacche sui fianchi.

Codice Descrizione Pesogr. dimensioni mm. ML18 Macina in pietra scistosa con abbondanti tracce di mica. 2150 260 * 100 *41 ML19 Macinello in pietra scistosa, forma ovoidale 700 91 * 73 * 79 ML20 Pestello in giadeitite. La base porta tracce di usura da percussione (dedotte dal colore biancastro causato da minuti grani di quarzite residuo dello sfaldamento) 1550 160 * 74 * 76 ML21 Oggetto di forma oblunga, leggermente appiattito, in pietra scistosa con tracce abbondanti di mica 350 155 * 48 * 24 ML22 Piccola macina in pietra verde, fortemente appiattita, con segni di usura su entrambi i lati 126 * 62 * 18 ML24 Blocco di pietra scura (incudine?) con una parte lavorata in modo da ottenere una superficie perfettamente piana. Su tale superficie sono persenti alcune striature da sfregamento 2350 230 * 80 * 70sup. lisciata:60 * 100

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Sito dell'età del Ferro a Monte Appareglio

Premessa

Nel 1912, in Inghilterra, venne ritrovato nel Sussex parte di un cranio fossile di essere umano, dichiarato in seguito da eminenti paleontologi come il fossile piu' antico dell' Europa. A meta' del '900 il cranio di Piltdown, come veniva chiamato dagli studiosi dal nome del luogo del ritrovamento, si rivelo' una bufala ideata pare da Martin Alistair Campbell Hinton che frequentava in quegli anni i dipartimenti di Geologia e Zoologia del British Museum come volontario, con l' obiettivo di gettare discredito, per mere questioni di carriera, sui colleghi che lo trovarono o forse per dare al Regno Unito la paternita' dell' anello mancante tra ominidi e homo sapiens. Nel nostro piccolo, possiamo raccontare che il sito della collina di Pavone e' stato scoperto grazie al fatto che un vecchio appassionato del Gac insisteva nel dire che una serie di reperti, in maggioranza grossi stacchi di selce, erano stati ritrovati sul Monte Appareglio. Dopo averli attentamente analizzati, i dubbi sulla loro provenienza rimanevano fortissimi in special modo per i nuclei di selce, molto grossolani ed assomiglianti piu' a quelli dei turisti che tornano dalle vacanze sul Gargano che a scarti di un atelier preistorico. Questo non impediva comunque di eseguire una perlustrazione della collina che oltretutto come ambiente era sicuramente promettente essendo inserita ai margini dell' anfiteatro morenico che aveva restituito in ambienti simili vari reperti di superficie (Monte Cordola, Bio', Montalto, Chiaverano). Si conoscevano poi da tempo tracce preistoriche come le varie serie di coppelle sparse lungo i sentieri che portano alla sommita' ed il cosidetto sedile della madonna (marmitta dei giganti)1. Il luogo indicato come quello del ritrovamento era la parte sommitale della collina nei dintorni di un invaso artificiale per la raccolta dell' acqua piovana costruito piu' di un secolo fa. Si decise percio' di fare un sondaggio di superficie per chiarire questo interrogativo nella speranza di aprire un nuovo capitolo nella preistoria canavesana. Giungendo sul tratto finale del sentiero, ad un centinaio di metri dalla meta si comincio' a notare alcuni frustoli ceramici dilavati dalle piogge, inornati ma sicuramente preistorici ed in effetti dopo una breve esplorazione delle pareti del laghetto l' antropizzazione preistorica venne confermata dal ritrovamento di una piccola parete con cordone plastico ad impressioni digitali confrontabile con il sito di Belmonte, conosciuto ormai da anni come appartenente all' orizzonte Bronzo finale-Prima eta' del Ferro ( XII - IX sec. a. C ). (Cima a cura di, 1984) Al termine del sondaggio esplorativo si poteva concludere quasi con sicurezza che i reperti analizzati in precedenza non c'entravano nulla con il monte Appareglio, in compenso il sito era piu' che promettente e pronto per ricerche approfondite. Questo succedeva nei primi anni novanta e alcuni anni dopo essendo stati raccolti da tre studenti un certo numero di reperti preistorici di superficie, nel cumulo di terra rimasto in loco da circa un secolo cioe' dalla realizzazione del laghetto artificiale, si decise che i tempi erano maturi per una vera e propria campagna di scavo. Nel 1999, grazie al permesso concesso dalla Soprintendenza di Torino e' stata condotta una campagna di scavi sul terreno in giacitura secondaria con i crismi di uno scavo stratigrafico, sia per avere un campo scuola per i neofiti e anche per non perdere ulteriori dati con una semplice setacciatura, dovuto al fatto che il materiale eventualmente recuperato non era ormai da tempo in giacitura stratigrafica. Il lavoro del gruppo e' stato premiato da ritrovamenti molto interessanti che potranno dare nuova luce sull' epoca a cavallo del II e I millennio a. C. e probabilmente anche sulla genesi dell' abitato di Ivrea, quando le prime ipotesi saranno suffragate dai risultati dei sondaggi stratigrafici delle future campagne di scavo. I reperti finora venuti alla luce dal "setacciamento" del cumulo di terreno riportato, sono riconducibili ad un orizzonte protogolasecchiano2 Bronzo finale - Primo ferro che ci riporta ad influssi sia padani che d'oltralpe e che si evolve fino alla piena età del Ferro, in epoca storica negli ultimi secoli avanti Cristo.

1) Le coppelle sono degli incavi emisferici centimetrici ricavati in modo artificiale dall’ uomo su basi rocciose normalmente piane o poco ripide tipo affioramenti o massi erratici. Le marmitte dei giganti sono coppelle naturali di misura molto superiore, in certi casi raggiungono o superano abbondantemente il metro di diametro. 2) Per protogolasecchiano si intende un periodo preistorico del Bronzo Finale prima età del Ferro (XII – IX sec. A. C.) caratterizzato dai primi influssi della cultura di Golasecca sviluppatasi nella zona dei laghi fra Piemonte e Lombardia dall’VIII secolo a. C.

Lo scavo ed i materiali

Lo scavo ha coinvolto alcuni settori dello sterro del laghetto artificiale situato a pochi metri dallo stesso. La sommità della collina stata suddivisa in vari quadrati di un metro per lato denominati con le coordinate cartesiane di ascissa e ordinata, per cui il cumulo di terra si trova automaticamente suddiviso in quadrati che indicheranno nel prosieguo della descrizione i siti meritevoli di nota. I settori che comprendono il terreno asportato nei sondaggi finora effettuati sono L23,L24,L25, O23,O24 e O25. In L25 e in O25 il livello basale che ha cominciato ad evidenziare la presenza di lastroidi in connessione ipotizzabile come la parte iniziale di un paleosuolo, riporta un’altezza allo “0” di partenza di 1metro e 30 centimetri. La misurazione con sistemi simili al teodolite si azzera su una quota fissa posta una ventina di centimetri al di sopra della sommità del terreno di riporto, per cui da questa quota si ricavano per differenza tutte quelle inerenti ai quadrati ed ai reperti ivi ritrovati. La stratigrafia ovviamente non evidenzia particolari differenze sulle pareti dei vari settori perch lo scavo non viene eseguito su terreno sedimentato in modo naturale ma su un cumulo artificialmente deposto. A parte eventuali concentrazioni di litici decimetrici o di reperti non in connessione, difficilmente interpretabili per effetto dello sconvolgimento avvenuto durante lo spostamento del materiale asportato dall’ invaso, le pareti si presentano senza particolari differenze di colore o di compattezza eccetto il disturbo delle radici degli alberi cresciuti dopo la deposizione del materiale d’ asporto. La ceramica ritrovata, ovviamente in stratigrafia quasi ribaltata va dal XII al II secolo a. C.; naturalmente le tracce di ceramica romana sono molto labili e si riducono a un frammento di ceramica verniciata ed uno di terra sigillata. La ceramica del Bronzo finale discretamente abbondante ed ha collegamenti con i siti coevi del Canavese ( es.: Belmonte ), quella dell’ Età del Ferro sicuramente la pi numerosa e variegata nei confronti ( es.: Valle d’ Aosta, Lombardia ). Oltre ai ritrovamenti fittili, estremamente interessanti sono anche quelli litici e alcune tracce di ornamenti rappresentati da vaghi di collana e tracce di metalli. Le decorazioni della ceramica del Bronzo Finale sono comprese nella sintassi tipica di tale cultura e vanno dai cordoni lisci o ad impressioni digitali applicati sulla spalla dei vasi, alle serie di tacche di varia fattura sulle pareti e sui bordi fino a quelle pi rare tipo la decorazione a pettine presente anche a Belmonte. Per l’ età del Ferro la sintassi decorativa comprende la falsa cordicella, le solcature orizzontali a fasce continue od alternate e le stampiglie3 (a S e ad occhio di gatto) tipiche della cultura di Golasecca. Rimane solo da determinare con un’ analisi pi approfondita se sono d’ importazione, se imitazioni locali oppure se il sito può essere inserito a pieno titolo nell’ areale golasecchiano.4 I vaghi di collana sono in opale con copertura di todorokite,5 e in pasta vitrea. Tra i reperti di natura ornamentale presente un bellissimo pezzetto di armilla in talcoscisto e un frammento di fibula in pasta vitrea colorata con azzurrite. La litica rappresentata da stacchi di quarzite e da ciotoli di quarzite e di diaspro sicuramente di natura esotica rispetto al sito, ma da studiare in modo pi approfondito per darne un’ interpretazione che abbia solide basi.

3) Per stampiglia si intende una decorazione fatta per impressione con un utensile probabilmente metallico sulla ceramica ancora plastica. Le figure sono normalmente delle file di S, delle svastiche, delle spirali, varie sequenze di punti, dei cerchi concentrici o dei quadrati concentrici. 4)L’areale della cultura di Golasecca coeva a quella centroitalica villanoviana comprende a grandi linee parte delle province di Milano e Novara e quelle lombarde di Varese e Como. 5)In mineralogia la todorokite un rivestimento di ossido di manganese e di ferro che si deposita col tempo su una base litica nella fattispecie, l’opale.

Conclusioni

Partendo dal presupposto che il Canavese e' una zona con una densita' abitativa notevole che va a scapito dell' integrita' degli insediamenti antichi e ha una conformazione a "cul de sac" non particolarmente consona agli spostamenti umani, e' comunque un territorio archeologicamente poco esplorato, per cui si puo' essere fiduciosi sul fatto che abbia ancora grosse potenzialita' in quanto a siti inesplorati e Pavone ne e' una prova. Fino ad un decennio fa era sconosciuto ed ora possiamo formulare alcune ipotesi suggestive sulla protostoria dell' eporediese. Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, l'analisi dei materiali piu' significativi ha evidenziato influssi culturali lombardi ( Golasecca, Ca' Morta ), valdostani ( Pontey, Montsaillou ), occidentali e transalpini ( Belmonte, S. Maria e la fossa del Rodano ), ma anche influssi villanoviani6 dell' Etruria (ceramica buccheroide). Queste peculiarita' di Monte Appareglio si spera vengano confermate da sondaggi stratigrafici, anzi corroborate da altri reperti che essendo recuperati in paleosuoli7 non disturbati dovrebbero restituire una serie di dati inconfutabili. Al momento attuale le ipotesi piu' plausibili sono quelle di contatti con le reti commerciali che seguivano quelle idriche del Po e della Dora Baltea sicuramente navigabile con i mezzi dell' epoca almeno fino a Pavone; questi contatti si intersecavano con il substrato locale che si stava celtizzando grazie ai contatti con il mondo transalpino. Riallacciandoci alle ipotesi esposte nel 1988 nel convegno "Gli Etruschi a nord del Po" (vedi Gambari) “ Il ruolo del commercio etrusco nello sviluppo delle culture piemontesi della prima età del ferro”, parte della ceramica classifficabile come buccheroide8 potrebbe appartenere a ceramica d' importazione. Le vie di commercio che collegavano l' Italia centrale agli abitati golasecchiani sul Ticino in special modo Sesto Calende può aver influenzato in qualche modo anche la zona del Canavese orientale appunto con la navigazione degli affluenti del Po per risalire verso nord, come dimostrano vecchi e nuovi ritrovamenti, dall’ area picena, felsinea e ligure, quest’ultima legata all’ emporio etrusco di Genova e la necropoli di Morano Po. La via dei commerci verso la Svizzera e la Francia può essere giustificata dalla ricchezza di minerale aureo nei fiumi e sulle appendici canavesane come dimostra la derivazione, secondo analisi approfondite, della maggior parte dell’ oro usato nelle oreficerie etrusche. Come appunto notava il Gambari nell’ articolo citato, Tito Livio nelle sue “Storie” scrive che i Romani accusavano gli Etruschi di aver attirato i Galli (Celti)9 verso la Pianura Padana; molto probabilmente oltre alla propaganda antietrusca le fonti liviane si allacciavano alle conseguenze dell’ intenso traffico commerciale esistente tra l’area etrusca e l’oltralpe celtico.

6)Per villanoviano si intende la cultura dell’ Età del Ferro anteriore alla civiltà etrusca. 7)Per paleosuolo si intende un piano di calpestio, di qualunque epoca preistorica che dopo l’ antropizzazione antica non sia stato disturbato se non in maniera molto superficiale da attività moderne. 8)La ceramica buccheroide quella di colore nerastro, lucida, che si avvicina per queste caratteristiche al bucchero etrusco. 9)I Celti, o i Galli di epoca storica, sono l’ etnia che unificò la cultura dell’ Europa continentale e della Gran Bretagna durante l’ età del Ferro con le culture di Hallstatt (VIII – V sec a. C.) e La Téne (V – I sec. A. C.) fino a giungere in epoca romana nella penisola ellenica. (Famose le statue di epoca ellenistica del Galata suicida, del Galata ferito, del Galata Capitolino ed il bassorilievo con il Galata morente che rappresenta un mercenario Gallo colpito a morte in una battaglia). Hallstatt, sito che ha dato il nome alla cultura omonima si trova nei pressi di Salisburgo in Austria mentre La Téne si trova in Svizzera nei pressi di Yverdon le Bains sul lago di Neuchàtel.

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In riva al fiume Eridano, una necropoli del Bronzo finale a Morano sul Po. Catalogo della mostra omonima Edizioni dell’ Orso Alessandria 1999

Le Scienze N. 374 Ottobre 1999 Milano 1999

Le Scienze N. 376 Dicembre 1999 Milano 1999

Peroni R. et ali Studi sulla cronologia della civiltà di Este e Golasecca Firenze 1975

Quaderni della Soprintendenza del Piemonte N. 5, 6, 7, 15.


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