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Unità aristoteliche

Le tre presunte unità aristoteliche, alle quali per molto tempo si uniformò il teatro sono:

  • Unità d’azione: l’argomento della tragedia deve avere sviluppo unitario, ossia riferirsi ad un unico avvenimento, del quale la situazione iniziale e quella finale sono collegate da una serie di eventi basati sul meccanismo causa–effetto, con esclusione di vicende accessorie
  • Unità di luogo: il dramma deve svolgersi in un unico luogo. Tale limitazione crea dei problemi per spiegare non solo gli antefatti ma anche lo svolgersi stesso dell’azione.
  • Unità di tempo: il dramma deve svolgersi nell’arco di una giornata. Anche questa limitazione crea problemi per spiegare gli antefatti.

La famosa questione delle tre unità, di tempo, di luogo e d'azione ha interesse puramente storico. Aristotele aveva affermato che la favola deve essere compiuta e perfetta, deve in altre parole avere unità, ossia un inizio, uno svolgimento ed una fine. Il filosofo aveva anche asserito che l'azione dell'epopea e quella della tragedia differiscono nella lunghezza “perché la tragedia fa tutto il possibile per svolgersi in un giro di sole o poco pi, mentre l'epopea illimitata nel tempo”. Nella tragedia greca il coro, tra l'altro, era essenziale, per evitare incongruenze e spiegare gli antefatti. Orazio, come Aristotele, insistette sull'unità d'azione.

Il blocco di tre unità creazione dei critici italiani del Rinascimento: Giraldi Cinzio, Robertelli, Trissino, Scaligero definirono l’unità di tempo, Maggi diede i primi accenni dell’unità di luogo, ma il primo trattatista a concepire l'unità di luogo e a dare alle tre unità la loro forma definitiva fu il Castelvetro nella Poetica (1570). In Inghilterra la dottrina delle tre unità si affermò poco. Vi si uniformò Ben Jonson, ma proprio dall'Inghilterra, nel Settecento, dal dott. Johnson fu sferrato un attacco conclusivo, nella prefazione alla sua edizione di Shakespeare: la sua argomentazione fu copiata dallo Stendhal in Francia; mentre in Italia il Manzoni, nel 1820, affossò definitivamente tre unità con la famosa Lettre à monsieur Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragedie.

Nel marzo del 1820 apparve sulla rivista Lycée Français una recensione sfavorevole alla tragedia Il conte di Carmagnola, firmata da Victor Chauvet, scrittore e critico assai noto nel mondo letterario francese della restaurazione. Costui aveva vissuto molto tempo in Italia e ne conosceva assai bene la lingua (era stato profugo in Italia durante la rivoluzione francese). Sostenitore della tradizione classica, Chauvet non condivideva le idee sul teatro tragico (già Goldoni, seppur nell’ambito della commedia, aveva infranto tali regole ne La trilogia della villeggiatura del 1761, ma il teatro tragico era ancora immune da tale tendenza). Manzoni lesse la recensione e ne discusse con l'amico Fauriel che lo incoraggiò a scrivere un articolo di risposta, nacque la “Lettre” di confutazione che può essere considerata un vero e proprio manifesto di poetica letteraria. Il Manzoni affronta l'annosa questione relativa alle tre unità aristoteliche del cui mancato rispetto lo accusava lo Chauvet e discute il rapporto tra storia e poesia. Manzoni nega la validità delle tre unità difendendo il sistema tragico del romanticismo e, alle regole della retorica tradizionale, oppone il canone del "vero" che in sé comprende la realtà dei fatti e dei sentimenti, vale a dire il principio storico e quello etico. Unità di azione non la rappresentazione di un fatto isolato, ma di un susseguirsi di avvenimenti collegati fra loro, che lo storico interpreta secondo i rapporti di causa–effetto, mentre il poeta tende ad un'unità pi profonda, isolando un avvenimento predominante, “la catastrofe", che si presenta come il compimento dei disegni degli uomini o della Provvidenza. Di conseguenza spazio e tempo sono definibili solo in base alle vicende. Per il Manzoni far poesia non significa inventare, bensì usare l’immaginazione per scoprire ciò che la storia non ha tramandato, cio le verità nascoste nell’animo umano, che sfuggono agli storici. Compito del poeta arricchire e completare la storia, chiarendo ciò che gli uomini hanno sentito, voluto, sofferto partendo dalle loro azioni, ma senza travisarla adattando i fatti ed i sentimenti alle esigenze letterarie (confutazione del teatro alfieriano che piega la storia ai propri fini dimostrativi).

Connessa con l'unità d’azione la proibizione, anche questa arbitrariamente attribuita ad Aristotele dai critici del Rinascimento, di mescolare il comico al tragico, uso del quale non mancano esempi nella tragedia greca. Nella tradizione medievale, la mescolanza di comico e tragico non era insolita e trasmise al teatro elisabettiano quegli elementi che salvarono il dramma inglese dalle pastoie delle unità pseudoaristoteliche e fecero di tale dramma il modello dei romantici. L’Hugo, nella prefazione al Cromwell (1827) affermò i diritti del grottesco, proprio sulla scena francese, la pi ligia alle tre unità. Nella prefazione al Cromwell, Hugo rivendicò il diritto dello scrittore di liberarsi dalle restrizioni del teatro classico e formulò una dichiarazione di indipendenza che divenne un manifesto della scuola romantica. Alla base della definizione del nuovo genere teatrale si trova la concezione cristiana, che oppone lo spirito al corpo, determinando nell’uomo un profondo conflitto esistenziale. Da tale antitesi nasce la moderna arte drammatica. Hugo dichiara assurda la distinzione fra tragedia e commedia, infatti, nel dramma il sublime ed il grottesco devono contemperarsi. Separarli significa isolare arbitrariamente l’uno o l’altro aspetto della psiche umana, mentre dalla loro unione emerge l’uomo nella sua interezza. Il brutto, il deforme, il grottesco hanno legittimità artistica come il bello, il tragico, il sublime. Le unità di tempo e di luogo devono essere abbandonate poiché sono contrarie alla verosimiglianza, mentre l’unità di azione,deve essere conservata. Bisogna anche distinguere tra realtà naturale e realtà artistica, infatti l’arte si ispira alle vicende storiche ma le supera. La storia riporta il certo, ossia i fatti, ma la poesia offre il vero, ossia ciò che gli uomini hanno pensato, detto, provato. Nella prefazione a Cromwell, Hugo riprende l’affermazione di Madame de Staël: l’arte deve rispecchiare la vita, poiché tutto ciò che nella natura nell’arte.


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