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Cucina futurista

Cucina futurista. Ultima delle «grandi battaglie artistiche e politiche spesso consacrate col sangue» di Marinetti & C., la lotta contro l’«alimento amidaceo» (in parole povere la pastasciutta), colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo», prende le mosse da una cena al ristorante milanese «Penna d’oca» (15 novembre 1930). Al termine, Marinetti preannuncia il Manifesto della cucina futurista, che sarà pubblicato su «Comoedia» il 20 gennaio 1931.

Precursore della cucina futurista è però il cuoco francese Jules Maincave, che nel 1914 aderisce al Futurismo. Annoiato dai «metodi tradizionali delle mescolanze», a suo dire «monotoni sino alla stupidità», Maincave si ripropone di «avvicinare elementi oggi separati da prevenzioni senza serio fondamento»: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, arringa e gelatina di fragola.

Oltre all’eliminazione della pastasciutta, il Manifesto - di pugno di Marinetti - predica l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti e della politica a tavola; auspica la creazione di «bocconi simultaneisti e cangianti», invita i chimici ad inventare nuovi sapori e incoraggia l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.

Al lancio del Manifesto segue una folta serie di conferenze e banchetti futuristi in Italia e in Francia, l’inaugurazione della taverna «Santopalato» e finalmente, nel 1932, la pubblicazione del libro La cucina futurista di Marinetti e Fillìa.

Balza agli occhi, insieme con il patente gusto goliardico, la sostanza letteraria, libresca e perfino antiquaria (nel recupero, per esempio, del gusto dolce-salato) dell’offensiva gastronomica futurista. Spensierato e caotico guazzabuglio di timide e spesso pleonastiche variazioni su ricette del tutto tradizionali, di innovazioni più di forma che di sostanza, di suggestioni esotiche e di vere e proprie freddure, la cucina futurista si riscatta quando propone piatti programmaticamente incommestibili, assemblati con la tecnica dadaista del «cadavere squisito».

I futuristi si impegnarono anche a italianizzare alcuni termini di origine straniera, il cocktail divenne così la polibibita (che si poteva ordinare al quisibeve e non al bar); analogamente, il sandwich prese il nome di traidue, il dessert di peralzarsi e il picnic di pranzoalsole.


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