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Fra Dolcino

Fra Dolcino (o Dolcino da Novara) č stato un personaggio vissuto in clandestinitĂ  all'inizio del XIV secolo sulle montagne fra la Valsesia ed il biellese; accusato dalla Chiesa di eresia, fu - per i cronisti dell'epoca - un vero e proprio condottiero capace di radunare attorno a sĂ© un gruppo cospicuo di popolani (che prenderanno il nome di dolciniani) assieme ai quali portare avanti una (vana) battaglia contro il feudalesimo. Erede della dottrina millenaristica del predicatore Gherardo Segarelli, Dolcino - originario probabilmente dell'alto novarese - annunciò, come predicatore, l'approssimarsi della fine dei tempi e la discesa dello Spirito sugli apostoli. Papa Clemente V mosse contro di lui una crociata.

Dopo un lungo assedio sui monti del biellese - dove Dolcino si era trasferito assieme ai suoi fedeli, capeggiati da Margherita di Trento e Longino di Bergamo - i dolciniani furono sconfitti ed annientati; alcuni furono uccisi subito, altri catturati e poi giustiziati; Fra Dolcino venne processato e condannato a morte dal tribunale ecclesiastico; fu giustiziato in circostanze drammatiche nell'estate del 1307.

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1 Chi era Fra Dolcino
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Chi era Fra Dolcino

Il luogo di nascita di Dolcino Tornielli - questo pare fosse il nome del futuro Fra Dolcino - rimane sconosciuto, ma si suppone fosse nell'alto novarese. Era sicuramente una persona istruita, cresciuta nella conoscenza delle Sacre Scritture, così come avveniva secondo i criteri culturali del tempo. Rimangono alcune sue lettere che rieccheggiano - secondo alcuni storiografi - agganci alle premonizioni millennaristiche tipiche del tempo; si ritiene comunque che fosse un personaggio dotato di grande fascino e comunicativa.

Le sue esortazioni per un ritorno alle origini apostoliche (con riferimenti chiliastici al milennarismo, all'etĂ  dello Spirito, ecc.) in attesa di un imminente tempo finale in cui si sarebbe ristabilito finalmente l'ordine e la pace dopo le degenazioni che la Chiesa del tempo aveva - a parere di Dolcino - sempre piů perpetrato, lo portarono, come altri eretici meno noti, a moltiplicare il seguito di "eletti" che con lui si "sarebbero salvati dal peccato di un secolo particolarmente corrotto".

La setta degli "Apostolici"

La rigorosa coerenza nell'essere sempre aderente con l'azione da lui predicata, in tempi in cui questo esercizio - stando a quanto racconta la storia - era disatteso in primis proprio dai grandi prelati, fece sì che il seguito che raccolse durante l'incessante peregrinare in alta Italia (ben presto tramutatosi in vera e propria fuga dalle autorità) aumentasse giorno dopo giorno.

Come sempre avveniva in casi simili, molti - avvinti dalla sincerità e coerenza del predicatore di passaggio - decidevano di seguirlo, finendo anche per vendere ciò che possedeva per versare il ricavato nelle casse del trascinatore.

Nel Trentino, Dolcino conobbe - a quanto si sa - una giovine di bellissimo aspetto di nome Margherita e questa lo seguì immediatamente; sarà al suo fianco fino alla cattura, tortura e morte sul rogo. Braccio destro e luogotenente di Fra Dolcino fu invece un certo Longino da Bergamo; anch'egli morirà con Margherita arso vivo sulle rive del Torrente Cervo, il corso d'acqua che scorre vicino a Biella.

La setta eretica detta degli apostolici guidata da Dolcino arriverà a contare, al massimo della sua espansione, tra i 5.000 ed i 10.000 aderenti. Ad un certo punto la chiesa ufficiale si allarmò (si era nel pontificato della cosidetta cattività avignonese e Papa Clemente V - che con Filippo il Bello si occuperà obtorto collo dell'eliminazione dell'Ordine del Tempio e dell'incameramento delle ricche tenute templari - ordinò una vera e propria crociata conto gli "apostolici".

Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autoritĂ  ecclesiastiche - avrĂ  rimessa la totalitĂ  dei peccati. Dolcino ed il suo seguito, con donne e bambini, si difenderĂ  tuttavia strenuamente dando filo da torcere alle truppe pontificie capitanate direttamente dal vescovo di Vercelli Raniero.

Scorribande notturne

Scorribande improvvise e sortite notturne nelle campagne della Valsesia permisero un misero sostentamento ai fuggiaschi, verso i quali crebbe però l'ostilità dei valligiani depredati. Un rigido inverno contribuì a ridurre ulteriormente le forze e le riserve alimentari.

Nella settimana santa del 1307 le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino sul Monte Rubello, vicino a Biella (dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato). Lo spettacolo che si presentò era drammatico: gli assediati, per sopravvivere avevano dovuto cibarsi dei resti dei loro compagni deceduti.

Tutti vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, Longino e Margherita. Quello che si svolge successivamente viene definito dagli storici un processo-farsa: Longino e Margherita furono giudicati in brevissimo tempo e bruciati vivi. Dolcino venne obbligato ad assistere allo spettacolo. "DarĂ  - come dice un cronista anonimo del tempo - continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero".

Solo a luglio si procederĂ  all'esecuzione anche del capo degli eretici.

Scempio del suo corpo

A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino su sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo - che assistette alla scena - scrisse che "mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito". Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo.

Nelle parole di Dante

Dante ricorda nell'Inferno l'episodio della resa di Dolcino, al canto XXVIII, versi 55-60:

Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S’egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Sì di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch’altrimenti acquistar non saria a lieve.

E in quelle di Nietzsche

Friedrich Nietzsche ha esaltato la figura di Dolcino come quella di un prototipo ideale del super-uomo, così come egli lo immaginava:

"Dolce e spietato, al di sopra di ogni miserabile morale, praticamente l'individuo che può porsi al di là del bene e del male".

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