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Le invasioni barbariche

Le invasioni barbariche
PaeseCanada-Francia
Anno: 2003
Durata:99 minuti
Regia: Denys Arcand
Soggetto/
sceneggiatura:
Denys Arcand
alcuni attori:
  • Remy Girard Remy
  • Stephane Rousseau Sebastien
  • Marie-Josee Croze Nathalie
  • Marina Hands Gaelle
  • Dorothee Berryman Louise
  • Johanne-Marie Tremblay
    Sorella Constance Lazure
  • Pierre Curzi Pierre
  • Yves Jacques Claude
  • Louise Portal Diane
  • Dominique Michel Dominique
  • Sophie Lorain Prima 'amante'
  • Toni Cecchinato Alessandro
  • Mitsou Gelinas Ghislaine
  • Isabelle Blais Emilie
  • Markita Boies
    Suzanne L'infermiera
  • Denis Bouchard Duhamel
  • Daniel Briere Alain
  • Dominic Darceuil Maxime
  • Yves Desgagnes Oleg
  • Sylvie Drapeau
    Seconda 'amante'
  • Roy Dupuis Levac
  • Rose-Maite' Erkorea Gabrielle
  • Macha Grenon Estelle
  • Sebastien Huberdeau Vincent
  • Micheline Lanctot
    Carole L'infermiera
  • Gaston Lepage Guardia
  • Jean-Rene' Ouellet Dottore
  • Jean-Marc Parent
    Rappresentante Sindacale
  • Gilles Pelletier Leclerc
  • Lise Roy Sig.Ra Pelletier
Fotografia: Guy Dufaux
Montaggio: Isabelle Dedieu
Musica: Pierre Aviat
Scenografia: Francois Seguin
Costumi: Denis Sperdouklis
Premi: Cannes 2003
Miglior attrice e miglior sceneggiatura
Oscar 2004 (Miglior film straniero)

Attenzione, questo articolo contiene una trama


Film: Le invasioni barbariche (Canada- 2003) - Premio Oscar 2004 come Miglior film straniero)

Trama

Un cinquantenne professore di storia (Remy) ha un tumore e viene ricoverato. L'ex moglie (Louise) chiede al figlio (Sébastien), affermato uomo d’affari che vive a Londra, di venire a trovare il padre, anche se tra i due i rapporti si sono praticamente interrotti da tempo. Sebastien parte e raggiunge l’ospedale (a Montreal); resosi conto della gravità della malattia del padre cerca di fare di tutto per rendergli gli ultimi giorni lieti e sopportabili.

Così, col suo denaro paga funzionari ospedalieri e sindacalisti per mettere in ordine un reparto, chiama i vecchi amici e fiamme del padre avvisandoli e invitandoli ad andare da lui, paga alcuni ex allievi perché lo vadano a trovare, farà comperare eroina per alleviare i dolori della malattia. Il tempo passa inesorabilmente e alla fine con una overdose gli verrà data una morte priva di sofferenza.

Critica

La vicenda può essere letta su diversi piani, uno storico ed epocale ed uno personale, individuale, umano in cui si insinua, dall'interno, il cancro, la malattia fisica.

Il film sorprende per il tono così lontano dal moralismo del nostro Paese. Il linguaggio ed il modo in cui vengono trattati i temi è attualissimo. Si parla dei nostri tempi: guerre, religione, economia.

Non c'è bigotteria nel parlare della storia umana, delle guerre, delle religioni, di soldi, corruzione, droga, della propria vita e dei rapporti umani e d'amore, di famiglia, amicizia, morte, eutanasia. E' un tono che colpisce.

Sembra tuttavia macchiato da una pretesa intellettualistica e suona un po' borghesemente distante dal linguaggio e dalle vite delle persone comuni. Le vite dei protagonisti non sono quelle di persone che devono arrivare alla fine del mese, ma sono quasi tutte persone affermate economicamente e professionalmente e proprio per questo, di fronte all'occhio dello spettatore, nude e prive di scuse ed alibi che una vita difficile potrebbe invece offrire loro.

E' un ambiente benestante ed intellettuale. I protagonisti hanno vissuto intensamente e con passione le loro esistenze, ma hanno tuttavia anestetizzato la loro stessa passione per il vivere. Come bambini ricchi hanno vissuto nella bambagia, narcotizzando l'esistenza ed ora che questa ha fine quale ne è il bilancio?

Siamo in presenza di un personaggio centrale (lo storico, la memoria del gruppo) attorno al cui capezzale si riuniscono nelle loro diversità le altre figure: la moglie, il figlio, la figlia che appare via internet, navigatrice sulla sua barca in mezzo all'oceano, la suora, le amanti, gli amici, gli studenti, la figlia tossicodipendente di un'amante. I temi che vengono lanciati verso lo spettatore sono tantissimi. Sopra gli altri: il senso della vita, la felicità, cosa vuol dire vivere e cosa serve vivere. Temi affrontati con naturalezza, con apparente distacco che però poi afferma l'esatto contrario in quell'aggrapparsi della propria esistenza alla vita a tutto tondo, dai rapporti d'amore sino allo sguardo sulla natura e sugli altri.

Abbandonando il fiume delle parole e dei sofismi resta l'uomo che guarda in faccia la morte. Come ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, in cui Antonius Block, il cavaliere, gioca la sua partita a scacchi con la morte, così, qui, Remy, lo storico, vive guadagnando qualche attimo di vita regalando a se un attimo in riva ad un lago osservandolo: quell'attimo è la vita, vissuto senza edonismo, ma con cognizione del suo momento stesso, unico, irripetibile, nel suo senso stesso che è forse celato nel rapporto umano con coloro che ci circondano.

Si parla di morte in questo film o forse si parla di vita. Si parla della morte di un uomo, ma si parla anche della morte della nostra società o meglio di un sistema (il tema era già iniziato ne Il declino dell'impero americano del 1987). La morte fisica fa da contralto a quella delle grandi ideologie, dei progetti utopici, delle religioni e dei sistemi economici fondati su liberismo e capitalismo. Qui il film appare in tutta la sua crudezza: non c'è una speranza, non c'è resurrezione, ma solo la morte.

E' un film drammatico, ma non ha toni cupi, ogni cosa, dalla malattia in poi è vista con un sereno distacco, a volte allegro. Non c'è disperazione. Lo stesso lo si nota in sala, in chi guarda, che par non capire che anche della sua vita si sta parlando. Forse è proprio questa la forza di questo film. Non dare risposte, ma spunti per porsi delle domande. Domandarsi prima di tutto cosa facciamo del nostro tempo, dove viviamo, con chi, chi ci sta attorno, quale la qualità della vita e dei rapporti umani che abbiamo.

Siamo soli nel bel mezzo di un oceano con quella che è la barchetta della nostra esistenza, salpati per dove e cosa cerchiamo? Poi le domande sulla politica e la storia degli anni che viviamo e che ci hanno preceduto (la memoria), poi quelle sulla morte, sull'esistere e su come affrontare la morte. Se viviamo la nostra esistenza ed il nostro tempo narcotizzandoci, forse è venuto il momento di disintossicarci e vivere la vita recuperandone l'emozione che è in un tramonto su un lago, in un bicchiere di vino, in un viaggio a Barcellona o a Genova, come viene detto nel film, negli occhi di chi si ama, nell'amicizia e nella forza della passione della vita. Riprenderci la vita in mano decidendo infine anche come e dove morire, non per lenire il dolore ma per riportare l'uomo, al ruolo di protagonista di quella che è l'esistenza ed in conclusione anche la morte.

Sotto alcuni aspetti il film può essere visto come la continuazione del precedente sul declino dell'impero americano, ci potrebbe ricordare sotto altri aspetti Il grande freddo, Il cacciatore e Il settimo sigillo.


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