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Capitalismo

Il termine Capitalismo si riferisce in genere a:
  • una combinazione di pratiche economiche, che venne istituzionalizzata il Europa, tra il XVI e il XIX secolo, che coinvolge in particolar modo la centralità del lavoro salariato, e la formazione del commercio, controllato dalle società, dei beni, in particolare dei beni di capitale (che comprendono terra e lavoro), in un mercato relativamente libero (ovvero libero dal controllo dello stato).
  • le teorie rivali che si svilupparono nel XIX secolo, nel contesto della Rivoluzione industriale, e nel XX secolo, nel contesto della Guerra Fredda, intese a giustificare la proprietà privata del capitale, a spiegare le operazioni di tali mercati, e a dirigere l'applicazione o l'eliminazione della regolamentazione governativa di proprietà e mercati.

  • ogni credo circa i vantaggi di tali pratiche.

Le origini del capitalismo

Nel XVI secolo nasce il sistema capitalistico, caratterizzato dall’impiego di manodopera salariata, dall'uso sistematico di macchine, e dall'organizzazione delle attività produttive al fine di moltiplicare il capitale investito.

Già nell'XI secolo, si era passati da una economia di sussistenza (ossia che consuma ciò che produce) ad una economia mercantile, nella quale le derrate alimentari, che in precedenza avevano solo valore d'uso, avevano assunto un valore di scambio, essendo in parte destinate alla vendita. I feudatari, per procurarsi le merci di lusso che i nuovi commerci mettevano a loro disposizione, avevano favorito tale trasformazione e consentito la nascita della borghesia. La classe feudale era però riuscita a mantenere la propria posizione preminente concedendo monopoli e privilegi alle corporazioni di mercantili.

Abbondanza di capitali da investire, scomparsa della servitù della gleba, esproprio dei piccoli contadini, disponibilità di forza lavoro, favoriscono nel XVI secolo la nascita di una classe imprenditoriale che investe capitali nell'acquisto di macchine, materie prime, attrezzi, sementi e nel pagamento di salari, per produrre beni da commerciare, moltiplicando così il capitale investito.

I salariati non vivono meglio dei servi della gleba, però mentre questi ultimi, essendo legati alla terra non sono padroni della propria forza lavoro, il salariato può vendere tale forza lavoro (anzi deve porla in vendita, poiché non possiede i mezzi di produzione per lavorare in proprio).

L'impresario ha come fine la possibilità di reinvestire capitali e profitti per ottenere utili sempre maggiori, ponendo se stesso ed i propri dipendenti al servizio del capitale. Per ottenere tale risultato deve saper risparmiare, usare razionalmente forze, tempo e produzione e saper valutare i rischi.

Per disporre di mano d'opera salariata è necessario che scompaia la servitù della gleba, per modificare i metodi di produzione è necessario che cessi il rigido controllo delle corporazioni perché si possano acquistare terre deve cessare il vincolo dell'inalienabilità, per prestare o prendere a prestito denaro non devono essere vincolanti i divieti della Chiesa contro l'usura.

Gradatamente tali condizioni si verificano: il servaggio scompare, il sequestro dei beni della Chiesa e le "enclosures" (terreni demaniali che, in Inghilterra, passano ai privati) consentono l’acquisizione di notevoli quantità di terreno; le proibizioni della Chiesa contro l'usura sono eluse; le corporazioni sono ancora potenti in città, ma non nelle campagne dove gli imprenditori forniscono materie prime ed attrezzature ai laboratori familiari extraurbani (sistema domestico) e, a volte, insegnano sistemi di lavoro più rapidi, ritirano il prodotto finito e lo immettono sul mercato. Tale sistema permette di produrre merci più economiche e quindi più facili da vendere.

Nel XVI secolo nascono le manifatture (attività tipografica, metallurgica, mineraria e fabbriche di armi) che abbandonano il sistema dei laboratori familiari (che adattavano al sistema capitalistico la produzione artigianale) e concentravano la manodopera salariata in fabbriche, attrezzate con strumenti forniti dal capitalista. Tale sistema permette di risparmiare sulle spese generali e consente la collaborazione sociale (le forze dei lavoratori vengono usate più razionalmente) Compare la divisione del lavoro che permette di accelerare la produzione e limita l'apprendistato al periodo necessario ad imparare poche, semplici operazioni (ben più complesso è l'apprendistato di un artigiano)

Nel XVI secolo si verifica un netto incremento demografico, soprattutto nelle città, che sono i centri della produzione e degli scambi. Ad Anversa nel 1513 nasce la prima borsa per il commercio dei titoli e, fino al 1560, la città resta il più importante centro finanziario europeo. Le attività speculative prevalgono su quelle produttive, le banche raccolgono e distribuiscono i capitali e, pur essendo di per sé improduttive, fanno pagare per i propri servizi. I grandi banchieri sono in rapporto con il potere politico, al quale concedono prestiti ottenendo, appalti e privilegi e, non di rado influenzano le scelte politiche. Il capitale finanziario dipende dalle vicende politiche e quindi, quando i sovrani non ottemperano agli impegni finanziaria assunti, gravi crisi sconvolgono l’attività finanziaria determinando una serie di fallimenti e una recessione generale (è ciò che accade nel 1557, quando il re di Spagna e il re di Francia pagano i creditori non in oro, bensì in titoli di stato svalutati) altri capitali sono sperperati in attività improduttive o distruttive, inoltre aumenta la popolazione improduttiva (funzionari, cortigiani etc.),

La crisi economica della seconda metà del 1500 permette ai feudatari di riprendersi e rallenta l'affermarsi del capitalismo. Alla fine del XV secolo, il Mediterraneo aveva ancora un'importanza preminente nel commercio europeo, ma le scoperte geografiche spostano l'asse economico europeo verso l'Atlantico ed acquisiscono importanza Siviglia, Cadice, Anversa, Londra ed Amsterdam. Nonostante ciò i banchieri italiani restano i più attivi ed abili in Europa, la produzione della seta nel XVI secolo è quasi un monopolio italiano, Firenze e Venezia producono pregiate vetrerie e nel Milanese e nel bresciano sono assai sviluppate la metallurgia e la fabbricazione di armi. Carrara esporta i suoi marmi, edilizia, tipografia ed editoria (Manuzio a Venezia) sono le più progredite d'Europa. L'agricoltura, grazie alle estese opere di bonifica consente un incremento della produzione, e l'Italia può esportare cereali.

La Spagna importa dall’America oro e argento, che poi affluiscono in tutta Europa provocando una grave inflazione, infatti, le miniere americane sono assai produttive e la manodopera schiava costa pochissimo e quindi oro ed argento perdono valore (e, conseguentemente, anche le monete coniate con tali metalli). Inoltre l’aumento della quantità di moneta circolante e la crescita demografica, provocano un aumento della domanda di prodotti, alla quale non corrisponde incremento della produzione ed i prezzi, durante il XVI secolo, quadruplicano. La borghesia trae vantaggio dell'aumento dei traffici, ed aumenta i prezzi, adeguandoli all’inflazione, però i salari non aumentano in proporzione, quindi i nobili che vivono di rendite fisse, i salariati ed i contadini vedono peggiorare le proprie condizioni economiche, mentre aumentano i guadagni dei grossisti e degli intermediari. La classe feudale si indebolisce e fra salariati e contadini serpeggia il malcontento (nell’Europa orientale però la nobiltà è ancora legata alla terra e trae vantaggio dalla situazione).


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