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Carlo Emilio Gadda

Carlo Emilio Gadda (14 novembre 1893, Milano - 21 maggio 1973, Roma) č stato un importante scrittore italiano. Lavorò come ingegnere fino al 1940, affiancando dal 1926 alla professione l'interesse per la letteratura e per la scrittura, che sarebbe diventata la sua occupazione fondamentale per il resto della vita.

(parte successiva da wikificare)
La capacità critica dello scrittore trova le sue radici in un nodo inestricabile di risentimenti personali, che risalgono agli anni dolorosi della sua prima formazione, oltre che in una curiosità analitica per la realtà caotica, che sfugge allo sforzo razionale di assegnare un senso e di riconoscere un ordine. La constatazione dell'irrazionalità dei comportamenti individuali e sociali del mondo contemporaneo, a confronto con la severa moralità razionalistica della sua tradizione borghese, scatena una polemica corrosiva, umorale e beffarda, e indirizzata verso una confessione o di individuazione di un senso nell'ingarbugliato non-senso del mondo. Gadda operò in Francia, Germania ed Italia, a Milano, Firenze (1940-1950) e Roma (dopo il 1950).

Gadda visse l'esperienza tragica della prima guerra mondiale, tra gli alpini, e poi come prigioniero di guerra, esperienza fissata nel Giornale di guerra e di prigionia (1955). Nel 1926 iniziò a collaborare a Solaria (esordisce come critico con Apologia manzoniana, 1927). Nel 1928-1929 scrisse il trattato filosofico Meditazione milanese, nel 1924-1929 si dedicò al romanzo, rimasto incompiuto, La meccanica (1970) e nel 1928-1930 scrisse i due pezzi di Novella seconda (1971). Schegge di romanzo sono le due parti di La Madonna dei filosofi (1931), la sua prima opera pubblicata. In questi anni Gadda tentò di lasciare la professione e di vivere di sola letteratura e lesse Joyce, Freud e la psicanalisi. Dal 1934 al secondo dopoguerra scrisse i suoi testi maggiori. Del 1934 č Il castello di Udine (premio Bagutta). Al 1937, l'anno seguente a quello della morte della madre, risale il primo nucleo de La cognizione del dolore, pubblicato incompleto tra il 1938 e il 1941 su Letteratura e nel 1963 in volume, ampliato ma non concluso (ottenne il Prix Internationale de la LittĂ©rature), opera focalizzata sui rapporti autobiografici madre-figlio e i traumi dell'infanzia, trasposti in un fantastico paesaggio sudamericano-brianzolo.

L’opera č un itinerario di conoscenza di sĂ© e della realtĂ  quotidiana del dopoguerra, presentata attraverso una deformazione linguistica comico-tragica, in un "linguaggio spastico", con cui tenta di dire l'indicibile di sĂ©. Negli anni Trenta andò articolandosi il suo plurilinguismo espressionistico, di cui sono saggio i racconti (tra cui lo straordinario L'incendio di via Keplero, del 1940) e L'Adalgisa. Disegni milanesi, un affresco satirico di liberata comicitĂ  della borghesia milanese del primo dopoguerra, disegnata con fulminea incisivitĂ . A Roma, Gadda iniziò la stesura del terzo grande testo, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, pubblicato nel 1946-1947 per stralci su Letteratura e in volume nel 1957, un giallo senza centro e senza soluzione, ritratto dell'Italia degli anni del fascismo, in cui la realtĂ  appare un groviglio inestricabile, un "pasticciaccio" appunto. L'indecente anima italiana negli anni del fascismo č raccontata ancora in un pastiche violentemente satirico, Eros e Priapo: da furore a cenere, un lavoro del 1945 pubblicato nel 1967.

Table of contents
1 Poetica

Poetica

Il linguaggio di Gadda č insolito ed originalissimo, si tratta di un vivace, ma spesso difficoltoso “pastiche” linguistico del quale fanno parte sia componenti lessicali e sintattiche appartenenti a vari dialetti (lombardo laziale, campano abruzzese), sia i termini e le movenze della lingua colta, del linguaggio scientifico, filosofico e burocratico, quasi una “prosa d’arte” orientata ai toni sanguigni, piuttosto che ai toni eleganti e rarefatti, però, mentre il ripudio della tradizionale lingua letteraria e l’utilizzazione di componenti dialettali, corrispondono, solitamente, ad una istanza di maggiore oggettivitĂ  e mimesi del reale (verismo), nel borghesissimo Gadda, fedele ai valori tradizionali, tale scelta linguistica corrisponde ad una funzione straniante, infatti lo scrittore rifiuta una oggettiva rappresentazione, che assume il valore di riconoscimento e credibilitĂ  di una realtĂ  che lo scrittore rifiuta ed aborre.

Lo scardinamento indotto da Gadda mira focalizzare la dimensione caotica e problematica di tale realtĂ . L’avvento del fascismo, infatti, l’affermarsi di un meschino perbenismo che copriva una realtĂ  ipocrita e corrotta, che proclamava a parole e smentiva nei fatti quei retti valori nei quali lo scrittore credeva, fu per Gadda traumatizzante. Nei confronti di una simile realtĂ  oggettiva lo scrittore assunse un atteggiamento profondamente conflittuale, dal quale derivò l’enunciazione della sua poetica. La narrazione č motivata dalla necessitĂ  di trovare uno strumento di rivendicazione dei propri valori, di dar voce al risentimento ed all’ira trattenuta. La lingua piccolo borghese diventa quindi del tutto insufficiente e il raffinato e cerebrale sperimentalismo linguistico di Gadda diventa uno strumento insostituibile e sconcertante, col quale esaminare e svelare, astraendosene e ritraendosene, una realtĂ  caotica sotto l’apparente concatenarsi di rapporti di causa – effetto.

La cognizione del dolore (1938-1941) incompiuto

Teatro della vicenda, articolata in “blocchi narrativi” č un immaginario paese sudamericano, il MaradagĂ l che ha caratteristiche paesistiche brianzole, suggerite dallo stesso autore (il Seruchon, simile nel nome e nell’aspetto al manzoniano Resegone, i colli preandini che circondano il borgo di Lukones, e che ricordano le ondulate Prealpi ricche di paesi e ville etc.). Episodi secondari illustrano vita e abitudini dell’immaginario paese. Il romanzo ruota intorno alla figura del “figlio della Padrona” della villa Pirobutirro, l’hidalgo ingegner Don Gonzalo, che vive una ribelle e disperata solitudine. Un coro di “voci” lo presenta come iracondo, crudele, in conflitto con la madre. Il dottore di Lukones lo visita inutilmente numerose volte.

Durante una delle visite, in un lungo colloquio, Don Gonzalo oppone ai tentativi del medico di ricondurlo alla “normalità”, la propria estraneità alla vita degli “altri”, il rancoroso rifiuto dei loro valori, il suo doloroso turbamento esistenziale, il disprezzo per la società che lo circonda e per i “manichini” che la compongono. L’acrimonia di Don Gonzalo si manifesta anche contro la madre, a momenti di disprezzo perché la giudica portatrice degli stessi valori degli “altri” che vorrebbe imporre al figlio, facendone un distinto ed anonimo caballero, alterna momenti di doloroso affetto. Il romanzo (incompleto) si conclude con la partenza da Lukones di Don Gonzalo e con il misterioso assassinio della madre.

I temi di fondo sono la demistificazione del mondo e delle sicurezze dei “possidentes”, riducendone i personaggi all’inclemente dimensione di assolute nullità, di manichini che si riconoscono vivi solo quando celebrano gli assurdi rituali della società borghese, e l’estraneità a tale mondo, derivata dalla consapevolezza dell’altrui meschinità. Chi, come Don Gonzalo, ha raggiunto tale consapevolezza, perde ogni sicurezza e precipita in una nevrotica solitudine esistenziale nella quale si macera rifiutando quella vita artificiosa ed i suoi pseudo – valori.

Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana (1946-1957) incompiuto

Il romanzo č apparentemente strutturato come un “giallo”, ma l’autore costruisce su tale impianto una narrazione aperta, ricca di digressioni, supportata da un linguaggio espressionistico giocato sulle commistioni dialettali, con dei “pezzi di bravura” avulsi dal contesto della vicenda. La vicenda, che si articola intorno alle indagini condotte da Ciccio Ingravallo, funzionario di polizia molisano, trapiantato a Roma, si svolge nella capitale, durante gli anni Venti.

Numerosi sono i riferimenti critici ai modelli ed alle consuetudini del periodo fascista. In un palazzo di Via Merulana, abitato da famiglie della buona borghesia č rapinata la contessa Menegazzi e, poco dopo, č assassinata la signora Liliana Balducci. Ingravallo, conoscente dei Balducci ed ammiratore della donna, conosce le abitudini e le stranezze della coppia: le giovani “nipoti” o presunte tali, che apparivano e scomparivano, il susseguirsi delle cameriere che restavano per pochissimo tempo, l’attrazione di Liliana per l’affascinante cugino Giuliano. Ingravallo, basandosi sui pochi indizi, sulle confuse testimonianze e sulle proprie disincantate riflessioni,indaga con scarsi risultati. Dapprima č fermato il cugino, ben presto scagionato, mentre una sciarpa verde, portata dal rapinatore della contessa,conduce gli investigatori ad un’ambigua bottega – laboratorio, frequentata da donne equivoche e dai loro compari.

Le ricerche in tale ambiente conducono il brigadiere Pestalozzi ad una casa cantoniera fuori cittĂ , dove ritrova i gioielli della Menegazzi nascosti in un pitale. Si comincia a ricostruire la rete dei rapporti tra i vari personaggi, ma il romanzo si interrompe nel mezzo di un interrogatorio ad una giovane del giro malavitoso che era stata cameriera presso i Calducci, senza smascherare i colpevoli dei due crimini, del resto, la soluzione del giallo non rientra nella logica del romanzo, che mira a rappresentare il mondo come “pasticcio” e caos irremovibile. Il pasticcio non č, evidentemente, solo quello della storia gialla, ma assume un significato universale, di cui č paradigmatico il linguaggio privo di un lineare svolgimento sintattico e lessicale.


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