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Fascismo

Movimento politico del XX secolo che sorge in Italia a partire dalla fine della prima guerra mondiale, in parte come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle prime lotte sindacali operaie, in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall'esperienza della guerra. La parola fascismo deriva dalla parola fascio (lat.: fascis) e fa riferimento ai fasci usati dagli antichi littori come simbolo di unione. L'ascia presente nel fascio simbolizzava il loro potere, in particolare il loro potere giurisdizionale.

Fondatore ed ispiratore del movimento fascista fu Benito Mussolini, che il 23 marzo 1919 dette vita a Milano ad un gruppuscolo denominato Fasci di combattimento. Il fascismo fu uno dei grandi movimenti nazionalisti diffusosi rapidamente in Europa negli anni venti e trenta del secolo scorso in molti paesi europei, accomunati da una matrice comune di conservatorismo, nazionalismo, autoritarismo e culto della personalità del capo: il nazismo in Germania, le guardie di ferro in Romania, il franchismo in Spagna.

Il fascismo tendeva ad attribuire una preminenza del partito fascista, identificato con lo stato, in ogni aspetto della vita politica e sociale. Pur combattendo il comunismo e il socialismo come nemici della patria e della società (con il diretto appoggio, in questo, della grande industria e dei capitalisti privati, spaventati dalle rivendicazioni sindacali, con cui il fascismo avrà sempre un rapporto privilegiato) Mussolini mutuò dalla dottrina socialista molte idee, creando uno stato fortemente centralizzato ed efficiente e strutturando l'economia in un modello molto simile al socialismo corporativista.

Le radici del fascismo, come degli altri regimi totalitari europei "cugini" del periodo, vanno individuate nella profonda crisi della società italiana del primo dopoguerra e nelle deboli radici della sua democrazia liberale. L'ideologia del fascismo fu elaborata negli anni '20 da Sergio Panunzio e successivamente stilata in un articolo scritto da Giovanni Gentile quando fu ministro fascista dell'Istruzione e poi siglato da Mussolini, ma non venne mai veramente seguita e applicata, restando un documento privo di un vero seguito. Il fascismo visse soprattutto della volontà di Mussolini e si limitò a seguire alcuni principi di massima da lui indicati di volta in volta e ad alimentarne il culto della personalità, adoperando i mezzi di comunicazione di massa per trasmettere un ideale di uomo forte, deciso e risoluto che Mussolini incarnava alla perfezione.

Di certo il fascismo si riallaccia a correnti di pensiero ultraconservatrici, che risalgono al XIX secolo, in generale contraddistinte dalla critica contro il preteso materialismo e l'idea di progresso delle società capitaliste borghesi, ritenute distruttrici dei valori più profondi della civiltà europea. Tali scuole di pensiero tendono a rievocare un'idea romantica e storicamente inesatta di una mitica società premoderna, armonica ed ordinata, in cui i diversi ceti della società, ciascuno nel suo ambito, collaborano per il bene comune. Da questo la critica alla democrazia liberale e alla società di massa che avvilisce l'uomo (il numero contro la qualità), fino a giungere a pensatori che sul finire del XIX secolo e l'inizio del XX secolo ritenevano esaurita la funzione della civiltà occidentale (Alfred Rosenberg Il mito del XX secolo, Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente).

=Storia del Fascismo= In Italia il fascismo trova i suoi precursori, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, nel movimento artistico del futurismo, il cui ispiratore, Filippo Tommaso Marinetti, aderì successivamente al movimento di Mussolini; nel decadentismo e nell'arditismo di un Gabriele D'Annunzio e in numerosi altri pensatori ed azionisti politici nazionalisti che si ritrovarono nella rivista Il Regno (Giuseppe Prezzolini, Luigi Federzoni, Giovanni Papini), molti dei quali militarono in seguito nelle file fasciste.

Fu l'indiscutibile abilità di politico di Benito Mussolini, ex leader massimalista del Partito Socialista Italiano, convertito alla causa del nazionalismo e della Grande Guerra, a fondere la confusa congerie di idee, aspirazioni, frustrazioni degli ex combattenti reduci dalla dure esperienza della guerra di trincea, in un movimento politico che all'inizio ebbe una chiara ispirazione socialista e rivoluzionaria (vedi il programma dei fasci di combattimento del marzo 1919) e che si contraddistinse fin da subito per la violenza dei metodi impiegati contro gli oppositori.

La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l'inflazione crescenti, la smobilitazione dell'esercito che restituì alla vita civile migliaia di persone, i conflitti sociali e gli scioperi nelle fabbriche del nord, l'avanzata del partito socialista divenuto il primo partito alle elezioni del 1919, crearono, negli anni 1919-1922, le condizioni per un grave indebolimento delle strutture statali e per un crescente timore da parte dei ceti agrari e industriali di una rivoluzione comunista in Italia sul modello di quella in corso in Russia.

In questa situazione fluida Mussolini colse l'occasione e, abbandonando rapidamente il programma socialista e repubblicano, si pose al servizio della causa antisocialista; le milizie fasciste, appoggiate dai ceti possidenti e da buona parte dell'apparato statale che vedeva in lui il restauratore dell'ordine, lanciarono una violenta offensiva contro i sindacati e i partiti di ispirazione socialista (ma anche cattolici), in particolar modo nel nord d'Italia (Emilia Romagna, Toscana in particolar modo), causando numerose vittime nella sostanziale indifferenza delle forze dell'ordine. Le violenze furono per la gran parte dei casi provocate dagli squadristi fascisti.

La violenza crebbe considerevolmente negli anni 1920-22 fino alla Marcia su Roma (28 ottobre 1922). Di fronte all'avanzata di milizie fasciste mal armate e guidate su Roma, il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, un uomo molto debole, preferendo evitare ogni spargimento di sangue decise di affidare l'incarico di Presidente del Consiglio a Mussolini, che in quel momento aveva in Parlamento non più di 22 deputati. Vittorio Emanuele mantenne sempre il controllo dell'esercito: se avesse voluto, avrebbe potuto senza problemi cacciare da Roma Mussolini e le forze fasciste, inferiori in tutto alle guarnigioni di stanza nella capitale; quindi non si può parlare, a rigor di termini, di colpo di stato in quanto Mussolini ottenne il governo legalmente, con un incarico (discutibile, questo sì) del sovrano.

I primi anni di Mussolini (1922-1925) furono caratterizzati da un governo di coalizione, composto da nazionalisti, liberali e popolari, che non assunse fino al delitto Matteotti connotati dittatoriali. In politica interna Mussolini favorì la completa restaurazione dell'autorità statale, con l'inserimento dei fasci di combattimento nell'interno dell'esercito (fondazione nel gennaio 1923 della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) e la progressiva identificazione del Partito in Stato. In politica economica e sociale vennero emanati provvedimenti che favorivano i ceti industriali e agrari (privatizzazioni, liberalizzazione degli affitti, smantellamento dei sindacati).

Nel luglio 1923 venne approvata una nuova legge elettorale, che assegnava due terzi dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi, legge puntualmente applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il "listone fascista" ottenne uno straordinario successo, agevolato anche dai brogli, dalle violenze e dalle intimidazioni contro gli oppositori.

L'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva chiesto l'annullamento delle elezioni per le irregolarità commesse, provocò una momentanea crisi del governo Mussolini. La debole risposta delle opposizioni (secessione dell'Aventino) incapaci di trasformare il loro gesto in un'azione di massa antifascista non fu sufficiente ad allontanare le classi dirigenti e la monarchia da Mussolini che il 3 gennaio 1925 ruppe gli indugi e proclamò la dittatura, sopprimendo ogni residua libertà e completando l'identificazione assoluta del Partito Nazionale Fascista con lo Stato.

Dal 1925 fino alla metà degli anni trenta il fascismo non conobbe che pochi ed isolati oppositori, seppur memorabili (in buona parte comunisti come Antonio Gramsci, socialisti come Pietro Nenni, demo-liberali come Giovanni Amendola, liberali come Piero Gobetti), molti dei quali pagarono con la vita, l'esilio, pene detentive o il confino il loro rifiuto del fascismo. La stragrande maggioranza degli italiani, anche quella vicina al partito popolare, trovò un modus vivendi con la nuova situazione, vedendo forse in Mussolini un baluardo contro il materialismo e il socialismo e soprattutto contro il disordine economico successivo alla guerra '15-18: da parte sua, il fascismo italiano non esercitò mai una grande opera di indottrinamento della popolazione come quella intrapresa dal nazismo in Germania, ma piuttosto, come il franchismo spagnolo, si limitò nella maggior parte dei casi ad esigere solo una partecipazione di facciata.

Tale situazione venne favorita dal riavvicinamento con la Chiesa Cattolica che culminò nel Concordato dell'11 febbraio 1929, con cui si chiudeva l'annosa questione dei rapporti tra Stato e Chiesa aperta dalla breccia di Porta Pia e che restituiva al cattolicesimo il ruolo di religione di stato.

In politica estera Mussolini, dopo l'incidente di Corfù del 1923, non si discostò dall'obiettivo del mantenimento dello status quo in Europa con una politica prudente e scevra da avventure militari, nonostante la retorica nazionalista. L'Italia mantenne ottime relazioni con Francia e Inghilterra, collaborò al ritorno della Germania nel sistema delle potenze europee pur nei limiti del Trattato di Versailles, tentando altresì di estendere la sua influenza verso i paesi sorti dallo sfacelo dell'Impero austro-ungarico (Austria e Ungheria) e nei Balcani (Albania, Grecia) in funzione anti-jugoslava. L'Italia fu inoltre uno dei primi paesi europei a stabilire nel 1929 relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica. Nel 1934 Mussolini si erse a difensore dell'indipendenza dell'Austria contro le mire annessionistiche della Germania hitleriana.

L'avvento del nazismo in Germania e il successi di Hitler negli anni 1934-36 di fronte alla sostanziale inazione delle democrazie occidentali, convinsero Mussolini (che era ormai caduto nella trappola della sua stessa propaganda, iniziando a credersi davvero infallibile) che vi fosse per l'Italia l'opportunità di espandere ulteriormente il suo prestigio e le sue conquiste territoriali, pur con un apparato industriale gracile e provato dalla crisi economica del 1929 e con un esercito arretrato e mal equipaggiato. Nel 1935 l'Italia invase con un pretesto l'Etiopia che venne rapidamente conquistata (maggio 1936: proclamazione dell'Impero) pur con atrocità quali l'impiego di gas e stragi indiscriminate contro l'opposizione della popolazione locale.

Pochi mesi dopo l'Italia fascista si schierò con i franchisti nella guerra civile spagnola, inviando anche un corpo di spedizione di 20.000 uomini. Queste imprese, lungi dal rafforzare il paese, lo indebolirono e lo allontanarono da Francia e Inghilterra, spingendolo ad allinearsi in maniera crescente con la Germania nazista (1936: Asse Roma-Berlino, 1937: Patto Anticomintern comprendente anche il Giappone, 1938: acquiescenza di Mussolini all'annessione dell'Austria, 1939: Patto d'Acciaio in funzione offensiva). Nel 1938 Mussolini fece promulgare dal re le leggi razziali antisemite, che non avevano alcun precedente in Italia e che furono applicate senza entusiasmo. Nel marzo 1939, senza alcuna vera ragione, ordinò l'occupazione dell'Albania già saldamente nella sfera d'influenza italiana.

Nonostante le clausole del Patto d'Acciaio (assistenza automatica in caso di guerra), nel settembre 1939 Mussolini si dichiarò non belligerante, ma nel giugno 1940, contro la volontà di gran parte delle gerarchie fasciste, entrò in guerra contro Francia ed Inghilterra, fidando nella rapida vittoria tedesca. L'impreparazione dell'esercito e l'incapacità dei suoi comandanti condussero a terribili sconfitte su tutti i fronti (Grecia 1940) e alla rapida perdita delle colonie dell'Africa Orientale (1941) e della Libia (1943) che aprì le porte all'invasione della Sicilia.

Il 25 luglio 1943 un colpo di stato ordito da parte del Gran Consiglio del Fascismo con l'appoggio del Re portò all'arresto di Mussolini e all'improvviso crollo del fascismo, che si dissolse tra il giubilo della popolazione, ma non alla conclusione della guerra che si protrasse per alcune settimane nella crescente ambiguità del nuovo governo Badoglio. Con l'8 settembre iniziò la fase terminale del fascismo, che ritornò alle sue origini repubblicane e socialisteggianti con la fondazione dello stato fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, detta anche Repubblica di Salò, con a capo uno sfiduciato e ormai spento Mussolini. La RSI, ultimo stato fascista in Italia, vide anche la partecipazione di alcuni effettivi dell'esercito, ormai sbandato, ed altri elementi non appartenenti al fascismo, che tentavano di riscattare qualcosa dell'onore italiano perduto l'8 settembre con l'improvviso cambio di alleanza a favore degli alleati, fatto vergognoso anche per le modalità con cui avvenne ed il comportamento inqualificabile tenuto dal maresciallo Badoglio, dal Re Vittorio Emanuele III e dallo stato maggiore dell'esercito italiano. Come la Repubblica di Vichy in Francia, anche quella di Salò fu sostanzialmente uno stato satellite della Germania Nazista, seppur con un minimo di autonomia in più dovuto alla stima che Hitler ancora nutriva per Mussolini, e le forze repubblichine furono soprattutto impegnate nel controllo del territorio e la repressione dei movimenti partigiani.

Il 25 aprile 1945 la liberazione del nord Italia e la fucilazione di Mussolini segnarono la fine della guerra e del fascismo in Italia, che sopravvisse sotto nuove forme, nonostante il divieto della Costituzione Repubblicana, nei partitini monarchici e soprattutto nel Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante: e molti ex-ministri fascisti, ex-gerarchi e notabili del partito si riciclarono nella nascente Democrazia Cristiana, che vinse le elezioni del 1948 con una maggioranza schiacciante e governò l'Italia del dopoguerra per decenni. L'MSI abbandona nel 1994 ogni residuo legame con il movimento mussoliniano e si trasforma in Alleanza Nazionale.


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