Resistenza italiana
Con Resistenza italiana viene indicato un preciso periodo storico dell'Italia che va dagli anni '30 - quando presero vita i primi movimenti di opposizione al regime dittatoriale fascista guidato da Benito Mussolini - al 25 aprile 1945 quando l'insurrezione armata partigiana proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia (CLNAI) portò alla liberazione di quasi tutte le città del nord del paese. Era l'ultima parte di territorio ad essere ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata verso la Germania e il movimento partigiano opponeva, appunto, la propria resistenza anche contro l'azione repressiva delle formazioni repubblichine della Repubblica Sociale Italiana. La resa incondizionata dell'esercito tedesco si ebbe il 29 aprile. L'Italia stava per voltare pagina.
Il movimento partigiano, dapprima raggruppato in bande autonome, fu successivamente organizzato dal Comitato di liberazione nazionale (CNL) in brigate e divisioni, quali la Brigata Garibaldi, la Brigata Matteotti, la Brigata Giustizia e Libertà , gli uomini del Partito di Azione. A sostenere questi gruppi furono direttamente i partiti di diversa estrazione ideologica, di area cattolica o liberale, oppure nazionalista ma anche monarchica che agivano nella clandestinità .
Specie nel periodo 8 settembre 1943 (data dell'armistizio di Cassibile)-25 aprile 1945 l'italia visse una vera e propria guerra civile.
La resistenza italiana viene indicata come una guerra patriottica di liberazione dall'occupazione tedesca ma ugualmente una guerra civile contro la Repubblica di Salò, le cui fila erano infoltite da gruppi di giovani che consideravano l'armistizio con gli alleati anglo-americani un tradimento nei confronti dell'alleato tedesco.
Sebbene negli anni più recenti questa parte della storia italiana sia stata e venga tuttora sottoposta se non ad una revisione, quanto meno ad uno studio più approfondito che il tempo trascorso consente, gli storiografi sono concordi nell'affermare che la resistenza fu l'espressione di una volontà di riscatto dal fascismo e, al contempo, di difesa dell'Italia dall'aggressione tedesca dopo la caduta del regime fascista e la contestuale rottura dell'allenza iniziale; ad essere coinvolti in quella che viene chiamata anche guerra partigiana, si calcola siano stati circa 310.000 uomini armati che, specialmente nelle zone montagnose del centro-nord italia svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti.
Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano fu di fatto inesistente. Infatti l'esercito anglo-americano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre '43 le forze tedesche che risalivano verso il nord.
Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed imponenti scioperi operai che già nella primavera del '44 avevano paralizzato le maggiori città industriali (Milano, Torino e Genova), le popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e più duro, quello del '45. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità dell'Appennino ligure le formazioni partigiane erano pronte a combattere e a sferrare l'affondo decisivo.
Nelle fabbriche cominciarono a costituirsi nuclei partigiani denominati GAP (Gruppi di azione patriottica) formati ognuno al massimo da tre o quattro militari pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonchè di propaganda politica. Attriti sorsero, però, a questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.
E sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione ufficiale dei partigiani, avvenuta nel giugno '44 con l'istituzione - riconosciuta sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale - del Corpo volontari della libertà (o Corpo italiano di liberazione, CIL). A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna, con vicecomandanti l'esponente del PCI Luigi Longo e quello del Partito d'Azione Ferruccio Parri).
Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel dopoguerra, che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella diversità ideologica, l'obiettivo successivo - quello che sarebbe stata la nuova Italia - era fonte di divergenza: i partiti della sinistra - peraltro divisi al loro interno - paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal canto suo il Partito d'Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell'edificazione di una nuova democrazia in grado di sovvertire il vecchio stato monarchico. La monarchia, del resto, continuava ad essere sostenuta anche dai gruppi partigiani che si riconoscevano nell'ala democratico-cristiana, liberale ed autonoma, oltre che dai soldati dell'esercito che non avevano aderito alla RSI.
La resistenza italiana ebbe termine, come si è detto, il 29 aprile, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco. Ma prima doveva accadere quanto negli anni seguenti ha fatto e fa tuttora discutere: la cattura e l'esecuzione di Benito Mussolini: il 27 aprile del 1945, l'ex duce del fascismo, avvolto nel pastrano di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme alla compagna Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi in piazzale Loreto a Milano. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi trucidati di quindici partigiani.
Secondo un documento diffuso il 30 aprile 1945 dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia "la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali".
Si calcola che i caduti per la resistenza italiana (in combattimento, o fucilati, o impiccati) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati italiani caddero combattendo almeno 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù); 40.000 soldati morirono nei lager nazisti.
Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.
Le vittime civili di rappresaglie nazifasciste durante la resistenza furono oltre 10 mila; gli ebrei deportati nei lager più di 10.000. Dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre '43 ne tornarono vivi solo quindici.
Il CNL
Sofferta analisi storica
I GAP
Resa incondizionata
Alcune cifre sulla Resistenza
Medaglie d'oro al Valor Militare
(nota: un elenco completo delle città che hanno ricevuto la Croce di guerra o la Medaglia d'argento o di bronzo al Valor Militare è reperibile sul sito dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia)