Dogville
Attenzione, questo articolo contiene una tramaDogville Dogville | |
---|---|
Paese: | Danimarca - Svezia - Francia - Norvegia - Paesi Bassi - Finlandia - Germania - Italia - Giappone - USA - Regno Unito |
Anno: | 2002 |
Durata: | 170 minuti |
Regia: | Lars Von Trier |
Soggetto: | |
Sceneggiatura: | Lars Von Trier |
Alcuni attori: |
|
Fotografia: | Anthony Dod Mantle |
Musiche: | |
Scenografia: | Peter Grant |
Premi | |
Arroganza uguale Onnipotenza, uguale America?
Sembrerebbe questo il messaggio contenuto nel film del regista danese Lars Von Trier, primo di una trilogia dedicata alla nazione anglosassone (co-prodotto da Lars Jönsson e Vibeke Windeløv con capitali di diversi paesi europei); e il dialogo finale tra la protagonista ed il “gangster” da cui fuggiva ce lo svela con nuda crudezza, così come la “soluzione finale” portata a termine dalla stessa Kidman, che non può non ricordare la politica estera degli Stati Uniti, da sempre pronti, nel bene o nel male, ad indossare i panni di difensori della giustizia mondiale, salvo poi celare l’arroganza di chi convinto di avere il diritto di giudicare ciò che bene e ciò che male, sfociando ineluttabilmente in un delirio di onnipotenza, di psicoanalitica memoria.
A detta di molti critici, il film da considerarsi semplicemente un capolavoro (anche se i pareri contrari non sono mancati).
Il regista, nonché scrittore ma anche operatore di camera, ha saputo coniugare arti espressive differenti, in un’unica opera, sintesi delle caratteristiche peculiari di tutt’e tre. Così all’indubbia paternità cinematografica, si aggiunge quella teatrale, data dallo scenario in cui si svolge la storia, mentre la voce narrante che ci accompagna durante tutto il film, ricorda i radiodrammi che un tempo riempivano le serate di intere famiglie.
Immediatamente si viene colpiti dalla mancanza di scenografie, dall’essenzialità del linguaggio visivo: i personaggi si muovono all’interno di uno studio, su di una superficie scura, spoglia, su cui disegnata, con linee chiare simili ai segni lasciati dal gesso sulla lavagna, la pianta di questo minuscolo paese, Dogville appunto. I limiti del paese sono anche limiti esistenziali, il taglio netto del pavimento che incontra le pareti, rese comunque invisibili con un espediente che le rende, di giorno, brillanti di luce propria e di notte buie e tenebrose, ci trasmette una sensazione quasi agorafobica, un senso di minaccia incombente da parte del mondo “all’esterno”.
E forse proprio questa l’emozione che provano i personaggi di questo dramma, vissuto nel periodo della grande depressione americana degli anni 20, costretti ad interpretare le proprie esistenze su di uno scenario limitato, come le pedine di un gioco di società (il regista ce lo suggerisce spesso con le riprese dall’alto perfettamente perpendicolari) mosse da un karma ineluttabile, karma che si palesa ai protagonisti proprio con l’arrivo della bella straniera che, da occasione per la manifestazione dei valori pi alti, di cui l’uomo fin troppo facilmente si fa portatore, diventa ben presto motivo di smascheramento della faccia pi abietta e meschina del genere umano.
Così i protagonisti indossano le maschere della quotidianità, della varia umanità con cui tutti i giorni veniamo in contatto, e di cui facciamo indissolubilmente parte: c’ il ragazzone educato e timido, aspirante filosofo e scrittore; c’ l’anziano genitore, saggio e bonaccione; c’ il contadino, rude e scabroso come la terra che coltiva; c’ la moglie, madre di una nidiata di teneri frugoletti ma tanto in gamba da riuscire a coltivare la propria passione per la cultura; e ancora tanti altri personaggi, tutti con una caratterizzazione precisa, tutti disposti a dichiararsi amici della ragazza e tutti, incondizionatamente, sedotti dal potere che ben presto si rendono conto di avere su di lei.
Questo potere li unirà ancor pi di quanto avesse fatto la convivenza di una vita e, in effetti, si avvererà quello in cui aveva sperato il timido Tom, ed il paese intero troverà un nuovo collante nell’infliggere le sevizie pi degradanti all’innocente protagonista.
Fino all’epilogo finale.