Effetto fotoelettrico
In sintesi, l'effetto fotoelettrico č l'emissione di un elettrone da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica, come ad esempio la luce visibile o la radiazione ultravioletta.Tale effetto, oggetto di studi da parte di molti fisici, primo fra tutti Albert Einstein, č stato fondamentale per comprendere la doppia natura di particella e di onda della luce.
Table of contents |
2 Emissione di raggi catodici tramite esposizione di corpi solidi 3 Perché con elettroni legati 4 Bibliografia |
L'effetto fotoelettrico fu rivelato da Hertz nel 1887 nell'esperimento che egli fece per generare e rivelare onde elettromagnetiche; in quell'esperimento, Hertz usò uno spinterometro in un circuito accordato per generare onde e un altro circuito simile per rivelarle. Nel 1900 Lenard studiò tale effetto, trovando che la luce incidente su una superficie metallica ne fa uscire elettroni, la cui energia non dipende dall'intensità della luce. I suoi risultati furono pubblicati sul vol.8 di Annalen der Physik.
Quando la luce colpisce una superficie metallica pulita (il catodo C) vengono emessi elettroni. Se alcuni di questi colpiscono l'anodo A, si misura della corrente nel circuito esterno. Il numero di elettroni emessi che raggiungono l'anodo può essere aumentato o diminuito rendendo l'anodo positivo o negativo rispetto al catodo.
Detta V la differenza di potenziale tra A e C, si può vedere che solo da un certo potenziale in poi (detto potenziale d'arresto) la corrente inizia a circolare, aumentando fino a raggiungere un valore massimo, che rimane costante. Questo massimo valore č, come scoperse Lenard, direttamente proporzionale all'intensitĂ della luce incidente. Il potenziale d'arresto č legato all'energia cinetica massima degli elettroni emessi dalla relazione
L'esperimento di Lenard
dove me č la massa dell'elettrone, v la sua velocitĂ , e la sua carica.
Ora, la relazione che lega le due grandezze č proprio quella indicata perchĂ© se V č negativo, gli elettroni vengono respinti dall'anodo, tranne se l'energia cinetica consente loro, comunque, di arrivare su quest'ultimo. D'altra parte si notò che il potenziale d'arresto non dipendeva dall'intensitĂ della luce incidente, sorprendendo lo sperimentatore, che si aspettava il contrario. Infatti, classicamente, il campo elettrico portato dalla radiazione avrebbe dovuto mettere in vibrazione gli elettroni dello strato superficiale fino a strapparli al metallo. Usciti, la loro energia cinetica sarebbe dovuta essere proporzionale all'intensitĂ della luce incidente e non alla sua frequenza, come sembrava sperimentalmente.
Einstein, nel lavoro del 1905 che gli fruttò il Premio Nobel nel 1922, fornisce una spiegazione dei fatti sperimentali partendo dal principio che la radiazione incidente possiede energia quantizzata. Infatti i fotoni che arrivano sul metallo cedono energia agli elettroni dello strato superficiale del solido; gli elettroni acquisiscono così l’energia necessaria per rompere il legame: in questo senso l'ipotesi piů semplice č che il quantone cede all'elettrone tutta l'energia in suo possesso, pur se non deve essere scartata la possibilitĂ di una cessione parziale della stessa. A questo punto l'elettrone spenderĂ energia per arrivare in superficie e per abbandonare il solido: da qui si può capire che gli elettroni eccitati piů vicini alla superficie avranno velocitĂ normale alla stessa maggiore. Per questi, posto P il lavoro (che varia da sostanza a sostanza) utile all'elettrone per uscire, si avrĂ che l'energia cinetica č pari a:
Emissione di raggi catodici tramite esposizione di corpi solidi
A questo punto detta ε la carica dell'elettrone e Π il potenziale positivo del corpo e tale da impedire perdita di elettricitĂ allo stesso (il potenziale di arresto), si può scrivere:
oppure, con i simboli consueti
che diventa
dove E č la carica di un grammo-equivalente di uno ione monovalente e P' il potenziale di questa quantitĂ .
Ponendo, poi, E = 9,6 · 103, Π · 10-8 rappresenterĂ il potenziale in volt del corpo in caso di irradiazione nel vuoto.
Ora, ponendo P' = 0, ν = 1,03·1015 (limite dello spettro solare dalla parte ultravioletta), β = 4,866·10-11, si ottiene Π·107 = 4,3V: il risultato trovato č così in accordo, per quanto riguarda gli ordini di grandezza, con quanto trovato da Lenard.
Si può concludere che:
- l'energia degli elettroni uscenti sarĂ indipendente dall'intensitĂ della luce emettente e anzi dipenderĂ dalla sua frequenza;
- sarĂ il numero di elettroni uscenti a dipendere dall'intensitĂ della radiazione.
- Π E + P' ≤ R β ν
- Π E + P' ≥ R β ν
Se poi la formula č corretta, Π(ν) riportata sugli assi cartesiani risulterĂ una retta con pendenza indipendente dalla sostanza. Nel 1916 Millikan esegue la verifica sperimentale di tale fatto, misurando il potenziale d'arresto e trovando che questo č una retta di ν con pendenza h/e, come previsto.
Quando un fotone colpisce la superficie del metallo, questi viene assorbito mentre l'elettrone sfugge alla superficie stessa del metallo. E' interessante, ora, toccare con mano quali sono i motivi per cui un fotone non può essere assorbito da un elettrone libero.
Per l'energia dell'elettrone si può scrivere:
Perché con elettroni legati
da cui si ottiene il modulo dell'impulso dell'elettrone:
Oltre questa bisogna tener conto anche della conservazione del momento:
Il sistema č incompatibile, in quanto si hanno 2 equazioni e 1 incognita (l'impulso dell'elettrone). Supponendo, però, di poterlo comunque risolvere, bisogna ricordare che:
hω = 2 me c2
Sempre utilizzando equazioni relativistiche, si può vedere ancora meglio come il processo di assorbimento della radiazione sia impossibile con un elettrone libero. Si possono scrivere i quadri-impulsi iniziale e finale
- me2c4 - pγc2 = Ee2 - pγ2c2 da cui me2c4 = Ee2
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