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Elio Vittorini

Elio Vittorini (23 luglio 1908, Siracusa - 12 febbraio 1966, Milano), scrittore italiano autodidatta.
Vittorini restò sempre coerente ai suoi propositi innovatori, tanto che per non venir meno ad essi, nel 1956 (invasione dell'Ungheria), smise di scrivere. Per lo scrittore, il criterio di verità ha la priorità sull'estetica, egli non cerca nuove forme letterarie, bensì nuovi temi che, con la loro attualità trasformino la forma letteraria (al contrario degli esercizi di stile di Queneau che, sullo stesso tema, varia la forma). Vittorini sostenne la necessità di nuovi contenuti (industria, alienazione, etc) e di organizzare la cultura (fonda la rivista "Il Politecnico" - fallita). Vittorini fu sgradito sia ai conservatori, sia ai comunisti (non seguiva la linea culturale voluta dal partito). In effetti, Vittorini oppose il proprio marxismo passionale ed idealistico a quello esclusivamente interessato al potere politico e deciso a strumentalizzare la cultura per i propri fini. Vittorini, forse esagerò nell'esaltazione della letteratura moderna, soprattutto americana (con Pavese curò la realizzazione della celebre "antologia americana") contro la letteratura ottocentesca. La rivista "Il politecnico" propose, anche se in maniera approssimativa, molte novità: responsabilità etica, politica ed umana della letteratura nei confronti della società. I temi furono la realtà industriale, il meridionalismo, lo sperimentalismo dialettale, l'avanguardia.

Nel saggio "Le due tensioni" (postumo) sostenne la necessità di abbandonare una letteratura che ha per fine l'estetismo, per una letteratura di comunicazione ed informazione, anche scientifica. Il narrare di Vittorini procede per immagini spesso simboliche, astrazioni ed a volte il fatto diviene favoloso ed il personaggio o l'idea assumono una connotazione mitica. Vittorini predica la morte della letteratura, rinnegando ogni ossequio al passato e volgendosi al futuro ed al progresso che divengono mito. Per Vittorini la letteratura deve essere calata nel presente. Vittorini si entusiasma per l'avventura, per le forze giovani che forgiano il proprio futuro, quindi trova il proprio ideale nell'America, priva di passato storico e fortemente conflittuale, la cui cultura è, soprattutto, contemporanea. Vittorini si perde, volontariamente, nella necessità morale e la vocazione cede al progetto letterario.

L'esempio più pregnante delle sue teorie è nell'incompiuto romanzo "Le città del mondo" (1969 postumo) al quale lavorò fra il 1952 ed il 1959, per poi abbandonarlo, giudicandolo letteratura d'espressione, ossia estetica, eppure sono probabilmente queste le sue pagine migliori, ma Vittorini operò la "scelta del silenzio", ossia rinunciò a scrivere, non potendo più seguire i dettami della propria poetica. Nel romanzo itinerari e vicende si intersecano attraverso una Sicilia che nella sua inquietudine diviene universo e in cui lirismo e coralità si compenetrano. Quando però il racconto volge all'ideologia, le pagine diventano meccaniche, faticose, spigolose e Vittorini, non volendo percorrere la via tradizionale che ha ripudiato (ma consigliato a Calvino) e non volendo seguire il proprio istinto di affabulatore, abbandona la letteratura.

Vittorini, negli anni '30, aveva scritto delle opere scolastiche rimaste inedite, inquieto e passionale, aveva aderito all'idea fascista, nell'ambiente di "Solaria" aveva acquisito un'impronta europea, nel '31, aveva scritto "Racconti di piccola borghesia", in cui echeggiano Joyce e Proust ed hanno un ruolo importante la memoria e l'analisi della realtà. Del '33 è il "Garofano rosso" romanzo pienamente realizzato, che compare, censurato dal regime, su "Solaria" e che è ripubblicato in versione integrale nel '48, con una prefazione che ne spiega la poetica. Vittorini lo considerava l'ultimo punto di contatto fra il romanzo tradizionale, con un linguaggio aderente alla realtà, ed il nuovo romanzo, con un linguaggio creativo, lirico, musicale, di toni alti, provocatorio. La narrazione è levigata, secondo il gusto dei solariani e con figure spesso di maniera, che presentano una giovinezza insolente, appassionata, ma delusa, ingenua e protestataria che trova sfogo nell'idillio, nell'avventura o nel cinismo.

Vittorini si avvicina ai temi dell'ermetismo: solitudine, incomunicabilità, evocazione della realtà, fine di una prosa sintatticamente legata, mentre gli restano estranei la poesia dell'assenza, il riserbo di fronte alla storia. Dell'ermetismo Vittorini accoglie la contestazione della cultura ufficiale e dell'ideologia che istituzionalizza la cultura e rifiuta la letteratura di consumo e d'evasione. Lo scrittore, per esprimere la realtà, usa il simbolo, l'allegoria e la metafora. Nella prosa di Vittorini si sentono gli echi della poesia di Ungaretti con la sua ricerca della parola pura. Il mito della verità racchiude i valori della dignità di vivere. Il gusto ermetico emerge nelle liriche di "Sardegna, come un'infanzia" in cui si avverte l'influsso di Quasimodo.

In "Erica e i suoi fratelli", si fronteggiano due elementi tipici di Vittorini: lo sguardo malinconico del ricordo e l'intenzionalità intellettuale nel rappresentare un mondo offeso. Nel '39, Vittorini pubblica "Conversazione in Sicilia", il libro con il quale intende fondare una nuova letteratura. Il timbro è patetico senza vergogna, la protesta è legata al periodo che si apre con la guerra di Spagna (1936), però Vittorini passa subito ad un tema universale: la dignità dell'uomo, sacra soprattutto quando è offeso. I temi sono la perdita della speranza, la crisi esistenziale dell'uomo, i suoi astratti furori. Il linguaggio è essenziale, tendente all'oggettività, simbolico non solo nelle figurazioni, ma anche nei sentimenti e nelle ideologie. La Sicilia di Vittorini non è quella dei vinti di Verga, poiché i suoi poveri si sentono vicini alla realtà esistenziale originaria. Nella nota Vittorini precisa che il romanzo, pur essendo frutto dell'ideologia comunista, è legato all'indagine psicologica, più che alla razionalità politica. Nel dialogo ritmico e musicale si avverte la lezione americana, al momento lirico ed intimo corrispondono i temi della memoria, dell'infanzia, del padre, della disperazione per il fratello morto, mentre all'elemento raziocinante appartengono i temi ironici e tragici, le visite in paese, il colloquio del cimitero etc.

Dopo "Conversazione in Sicilia" comincia il sacrificio della "bella forma" alla propria idea di letteratura. Nel 1945, Vittorini scrive "Uomini e no" che apre e definisce la letteratura della resistenza. La narrazione si svolge su due piani:

  1. il cupo realismo dell'occupazione nazista, in pagine tragicamente stilizzate
  2. il tentativo intellettualistico di conciliare la storia privata e quella del mondo.
È il dramma dell'uomo che si trova isolato, nell'incapacità di comprendere la realtà. Vittorini, con il ricorso ossessivo ad una doppia realtà, fissa i caratteri del Neorealismo. Meglio riuscito è "il Sempione strizza l'occhio al Frejus", un libro di maniera, con toni ironici e tragici. Più retorico è il frammento "La garibaldina" (1956) che è l'ultima prosa narrativa pubblicata in vita. Col dialogo e la definizione simbolica, Vittorini stravolge il romanzo naturalista ed i suoi contenuti: vita nei villaggi, contrasti sociali, nobiltà, risorgimento (Vittorini rifiutò la pubblicazione a "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa, non comprendendolo e definendolo un romanzo storico, non ideologico).

Dal '47 al '64, lo scrittore elaborò "Le donne di Messina" (titolo originale "Lo zio Agrippa passa in treno"), in cui definisce la propria utopia di una società comunitaria. Nelle prime redazioni, Vittorini da della resistenza un'interpretazione corale, drammatica, esistenziale, mentre nella versione del 1964, c'è un aggiornamento tematico e dalle illusioni della resistenza si passa alla delusione neo-borghese. Il personaggio chiave resta zio Agrippa, assurdo e non inserito nei tempi moderni poiché non ha mutato la propria umanità. Egli non comprende più il mondo però lo ama ed attraversa l'Italia devastata dalla guerra senza capire, incapace di aderire all'attualità, ma rispettoso della realtà.


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