Pagina iniziale | Navigazione |
Google

Decadentismo

Generi letterari
Autobiografia e Biografia | Poesia | Teatro | Fantascienza | Fantasy | Fantapolitica
Letteratura Epica, Mitica, Gotica, Horror, per ragazzi, Satirica, Western
Narrativa e Romanzo: Romanzo d'appendice, d'avventura, storico, giallo
Fumetto e Manga
La letteratura nel mondo
Letteratura bulgara, francese, giapponese, greca, inglese, italiana, latina, russa, tedesca, ungherese
Scrittori celebri | Poeti celebri | Scrittori e poeti italiani
Il termine Decadentismo fa riferimento in maniera alquanto generica, ad un fenomeno letterario che percorse l’Europa tra la fine dell’800 ed il primo ‘900. Esso ebbe inizio in Francia nell’ultimo quarto del XIX secolo, quando un gruppo di letterati, facendo riferimento a Paul Verlaine, tra il 1880 ed il 1886, animò la vita culturale parigina con le sue provocazioni antitradizionalistiche. Padre ideale del movimento fu Charles Baudelaire, che però era già morto nel 1867. I poeti decadenti, tra i quali Rimbaud e Mallarmé rinnegarono il linguaggio poetico tradizionale sostituendo alla descrizione l’evocazione, dissolvendo la realtà oggettiva nel sentimento individuale (per questo non si ritiene propriamente decadente Pascoli, anche se per alcuni versi lo spontaneamente) servendosi dell’analogia per esprimere intuitivamente i trasalimenti dell’animo, voluttuosi, misteriosi, talvolta torbidi, assecondandone l’attrazione per il raffinato, il raro, il morboso, rifiutando ogni valore tradizionale di pensiero, di linguaggio e d’etica, recidendo ogni vincolo sociale e rinnegando la realtà comune ed equilibrata; intesero la poesia come seducente musicalità, capace di affascinare e rapire il lettore, che si presume colto e ricco di sensibilità e di intuito, trascinandolo nel mondo onirico e simbolo dell’inconscio.

Il Decadentismo divenne il filo conduttore della società letteraria di fine secolo, estendendosi al primo ‘900 e schiudendosi ad esperienze d’avanguardia (Futurismo). Il movimento ebbe le sue premesse nella cultura romantica, specie in quella tedesca, fortemente irrazionalistica, e tardoromantica, quando le sue tematiche s’illanguidirono in un diffuso e generico sentimentalismo. In Italia si può con sicurezza designare decadente il periodo letterario che va dalla scapigliatura al Futurismo, facendo sua la solo parzialmente consapevole presa di coscienza degli scapigliati, che accolsero i fermenti della delusione postrisorgimentale. Sul piano sociale si era ormai affermato il potere economico e politico della borghesia, delle cui istanze si era fatto voce il Romanticismo, con le sue componenti popolari e nazionalistiche. Attraverso l’esperienza della scapigliatura, il Decadentismo approdò invece ad un prepotente rifiuto della normalità e del grigiore borghesi, parimenti divenne reazione al positivismo, naturalismo e verismo imperanti, rivalutando nel nuovo contesto storico – culturale l’irrazionalità e gli aspetti soggettivistici e spirituali del movimento romantico, per poi articolarsi in quello simbolista (già nel 1886). Il Decadentismo fu un rinnovato atto di sfiducia nella ragione, come già era stato il Romanticismo nei confronti dell’illuminismo.

La realtà appare complessa, stratificata e misteriosa, in quanto non ciò che appare, bensì ciò che si cela dietro alle apparenze. La nuova generazione di letterati concepisce l’interiorità come un abisso insondabile e ne focalizza debolezze e perversioni, senza però l’intento programmatico di ovviarle e senza alcuna pretesa scientificità naturalistica, anticipando così l’analisi spassionata dell’inconscio attuata da Freud, dalla quale la letteratura del ‘900 ha poi tratto, ed ancora trae, infinite suggestioni. In base alle premesse decadentistiche il mistero della realtà può essere penetrato solo grazie all’intuizione ed alle doti interpretative e divinatorie dell’artista la cui anima, anche tramite esperienze che valicano i limiti della norma, sa fondersi nell’anima universale (panismo dannunziano), svelando con il linguaggio misterioso e simbolico della natura e rivelando ciò che l’uomo comune, borghese, non sa vedere (Pascoli: fanciullo). La poesia, e l’arte in genere, acquisirono valore non solo conoscitivo, ma anche di intrinseca bellezza fine a se stessa, avulsa dalla morale corrente, dalla violazione della quale quindi assolta nella programmatica rivendicazione della totale autonomia dell’arte, al servizio della quale i decadentisti posero una vita che spesso fece dell’eccesso e della trasgressione una regola. Tale concezione della vita d’arte e culto esasperato della bellezza, a volte esotica od eccentrica, generò l’estetismo decadente, nel quale confluirono l’ideale di bellezza suprema ed esagerata, il rifiuto della società borghese e dei valori di massa ad essa collegati e l’estraniamento in un mondo di aristocratica raffinatezza, dove l’arte diviene il fulcro dell’esperienza conoscitiva individuale. La polemica con il naturalismo si concretò nella sfiducia sulle reali possibilità della letteratura di influire sulla realtà interferendo con essa in vista di intenti sociali, come invece si erano prefissi i naturalisti. I decadentisti pertanto negarono all’arte ed alla poesia in particolare, ogni fine pratico. Eccezionale quindi fu la concezione dannunziana del poeta – vate, impegnato politicamente e trascinatore delle folle (inoltre D’Annunzio non disdegnò certamente l’aspetto meramente commerciale della sua opera). Accanto al ripiegamento intimistico ed introspettivo, all’aristocratico isolamento della banale società borghese, si svilupparono atteggiamenti e tematiche di apparente contraddizione, ma in realtà tutte facenti capo all’estetismo: esasperata vitalità, gesto memorabile, atteggiamenti ai quali non era estraneo un certo superiorismo di stampo nietzchiano). Tali ambivalenti tendenze si coniugarono nel D’Annunzio prodotte da quella stessa inquietudine esistenziale che nella maggior parte dei decadenti si manifestò non solo nell’incapacità di condurre una vita normale, ma anche in una sensibilità morbosa e nel ripiegamento dell’autoanalisi pi spietata. Il vero inizio del Decadentismo italiano si ebbe con Pascoli e D’Annunzio, sia pure con posizioni ed esiti assai differenti.

Confronto Pascoli / D’Annunzio

D’Annunzio impostò in maniera pi diretta l’indispensabile contatto con la letteratura d’oltralpe (come scapigliatura), il Pascoli fu invece, per indole, spontaneamente decadente, trascendendo, in tale istintiva spontaneità, i limiti del movimenti stesso. L’uno e l’altro furono però poeti dalle sensazioni acute e dalla sensibilità morbosa, sebbene fosse il D’Annunzio votato ad un altisonante estetismo e ad un’istrionica estroversione ed il Pascoli invece ansiosamente vibrante nel ripiegamento intimistico. In ultima istanza, però, ambedue vissero prigionieri di un’analoga solitudine psicologica (NB. D’Annunzio solo tra molti, Pascoli, coscientemente, cerca rifugio nella solitudine e, forse, dei due il meno solo) sul piano strutturale e stilistico entrambi i poeti spezzarono il ritmo e la sintassi tradizionali, alterarono la metrica (versi liberi / andamento prosastico della poesia) sfruttarono simboli ed analogie, si avvalsero di onomatopee e di raffinate armonie, solo apparentemente semplici quelle del Pascoli, spudoratamente, volutamente e scopertamente ricercate quelle di D’Annunzio.

La lezione di Pascoli e di D’Annunzio sopravvisse anche in coloro che pretesero di negarla: i crepuscolari (Gozzano) i quali ripresero il dannunzianesimo pi languido e portarono all’estremo l’amore per le piccole cose, si persero nell’evocazione e nel torpore dei sensi. Anche i crepuscolari contribuirono allo scardinamento delle forze poetiche tradizionali, adottando un linguaggio antiletterario, spesso contaminando il letterario con il parlato ed adottando l’ironico travisamento di rima e metrica. Ai futuristi contrapposero scelte tematiche volutamente opache e piccolo borghesi ed una incapacità di entusiasmarsi, mentre al dannunzianesimo risposero con un’ironica nostalgia per “il buon tempo antico” e per “le buone cose di pessimo gusto” (Gozzano). I futuristi invece rappresentarono l’ultimo sprazzo vitale del Decadentismo, facendo dell’Energia la loro musa (derivazione dal vitalismo e dal superomismo) e ribellandosi in maniera parossistica alla realtà ed alla tradizione, per poi estinguersi nella vampata della prima guerra mondiale.

Il panorama letterario risultò estremamente vario: nato dalla frattura tra artista e la società di massa, il Decadentismo accentuò il motivo della diversità con il D’Annunzio, l’angoscia della solitudine, dell’inconoscibilità del reale, dell’impossibilità di realizzare se stessi con Pirandello, la riflessione intimistica col Pascoli e privilegiò la malattia spirituale e l’autocompiacimento vittimistico con lo Svevo. La Ronda e Solaria teorizzarono e realizzarono la “prosa d’arte”: lirica, evocativa e di particolare impegno stilistico, mentre Svevo e Moravia privilegiarono la rappresentazione del “male di vivere”. Nel clima del Decadentismo, mentre la poesia poliedrica ed in rapida evoluzione divenne una forma irrazionale ed intuitiva di conoscenza, la narrativa fece proprie tali istanze focalizzandole nell’eroe decadente. Il D’Annunzio con Il piacere realizzò nuove tematiche e modalità stilistiche. Mentre la maggior parte dei contemporanei (come anche il primissimo D’Annunzio) coniugarono ricordi veristici e tendenze decadentistiche: del Verismo restava il guscio, mentre il contenuto studiava il male di vivere, la condizione umana, l’assurdità del vivere (Pirandello, Svevo, Deledda, Fogazzaro) e nascevano personaggi lacerati da profondi conflitti interiori. D’altra parte l’archetipo dell’eroe decadente fuggiva la realtà perseguendo in maniera esasperata arte e bellezza, intellettualisticamente pervenendo alla sistematica trasgressione (D’Annunzio e Wilde) oppure fu un “antieroe” angosciato e vinto (Svevo) in profondo conflitto fra essere ed apparire (Pirandello). Comparvero personaggi votati alla rinuncia, ala fuga, all’alienazione, all’inettitudine. L’angosciosa presa di coscienza dell’inconoscibilità del reale spostò i confini della letteratura dal mondo oggettivo a quello soggettivo pertanto la tecnica narrativa insistette pi che sui fatti, sull’impatto che essi hanno avuto sulla psiche, influsso che il soggetto spesso rivive in retrospettiva (Pirandello, Svevo, Kafka, Joyce, Mann). Tali motivi informarono anche il complesso teatro pirandelliano. Nei cruciali anni '80 del XIX secolo, l’editoria si volse alla diffusione di testi destinati soprattutto al ceto medio, divulgando romanzi, poesia e prosa. La narrativa raggiunse la massa grazie all’inserimento nel giornale e proprio il mercato fruito largamente dai ceti medi permise la pubblicazione di letteratura e cultura alta e specialistica: mentre le alte tirature restavano appannaggio di una letteratura di consumo “bassa” o medio – bassa” (Liala, Guido da Verona) le pubblicazioni degli scrittori “colti” restavano assai al di sotto delle tirature popolari, rivolgendosi ad un pubblico ben pi ristretto, anche se, ad esempio, il D’Annunzio, il quale meglio di tutti aveva intuito le potenzialità del nuovo mercato, aveva saputo curare sia la propria immagine pubblica, sia creare un modello letterario capace di rispondere alle esigenze e di sfruttare le frustrazioni di quella borghesia che egli tanto mostrava di aborrire e disprezzare, ottenendo in tal modo un successo di vendita clamoroso.


GNU Fdl - it.Wikipedia.org




Google | 

Enciclopedia |  La Divina Commedia di Dante |  Mappa | : A |  B |  C |  D |  E |  F |  G |  H |  I |  J |  K |  L |  M |  N |  O |  P |  Q |  R |  S |  T |  U |  V |  W |  X |  Y |  Z |