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Giovanni Boccaccio

Giovanni Boccaccio (Firenze 1313 - Certaldo o Firenze, 21 dicembre 1375), fu poeta e prosatore nonché l'autore del celeberrimo Decamerone. Non proveniva, a differenza di Dante, dalla nobiltà in declino - costretta ad accettare gli ordinamenti comunali borghesi - né era, come Petrarca, un intellettuale che accettava di svolgere una professione subalterna.

Tuttavia fu un uomo di grande cultura che ebbe l’opportunità di frequentare la ricchissima biblioteca reale e dedicarsi a letture eterogenee (letteratura cortese e cavalleresca francese, cultura latina ed erudizione storica, mitologica e letteraria, autori greci e latini, stilnovisti, Dante ecc.). Cominciò a scrivere rime e poemetti per il brillante pubblico di corte, che lo riconobbe come poeta.

Ad ispirare i suoi primi due poemetti fu un amore giovanile.

Table of contents
1 Biografia
2 Opere
3 Link

Biografia

Boccaccio nacque nel 1313 (secondo fonti considerate non attendibili a Parigi) ma fu sicuramente allevato a Firenze, figlio illegittimo del mercante Boccaccio (Boccaccino) di Chellino, socio della compagnia dei Bardi e console della corporazione dei cambiatori. La madre era una francese di nome Giovanna. Quando, nel 1320, il mercante sposò Margherita dei Mardoli, decise di allontanare il figlio naturale da Firenze, affidandolo a Giovanni Nazzuoli da Strada, perché lo avviasse alla mercatura. Mazzuoli condusse il ragazzo a Napoli, dove la compagnia trattava affari, infatti i Bardi finanziavano gli Angioini e la loro banca controllava i traffici del regno (la dinastia angioina fu fondata da Carlo I nel 1246 e terminò nel 1442 quando subentrò la dinastia Aragonese).

Quando il giovane manifestò la sua avversione per gli affari, il padre lo indirizzò, inutilmente, allo studio del diritto canonico. Giovanni a Napoli si dedicò allo studio dei classici e della poesia, mentre frequentava l’ambiente colto e raffinato della gaia e sfarzosa corte di Roberto d’Angiò, dove il padre era amico personale del sovrano ed aveva numerose conoscenze. Fra il 1330 ed il 1331, all’università di Napoli fu chiamato ad insegnare diritto Cino da Pistoia (1270 - 1337) che avviò il giovane Boccaccio alla poesia. Napoli era il centro intellettuale pi vivace della penisola, con contatti culturali con l’area, bizantina, con la Francia, con Avignone, dove si stava affermando Petrarca.

Nel 1336 conobbe Maria d’Aquino, figlia naturale del re e moglie di un gentiluomo di corte, se ne innamorò, riamato e la rappresentò nella sua opera letteraria con il nome di Fiammetta (Elegia di madonna Fiammetta) e, per invito di Maria, compose la sua prima opera, il Filocolo. Nel 1340, dopo essere stato abbandonato da Maria, dovette rientrare a Firenze a causa di un grave dissesto finanziario del padre. Fra il 1346 ed il 1348 visse a Ravenna ed a Forlì, poi tornò a Firenze dove scampò alla peste e si stabilì definitivamente nel 1349, alla morte del padre, per occuparsi di quanto restava dei beni di famiglia. A Firenze, era assai apprezzato per la sua cultura e ricevette alcuni incarichi come ambasciatore in Tirolo e ad Avignone.

Nel 1351 gli fu affidato l’incarico di recarsi a Padova, dove si trovava il Petrarca, da lui conosciuto l’anno precedente, per invitarlo a Firenze, dove gli sarebbe stato affidato un insegnamento. Petrarca non accettò la proposta, però tra i due scrittori nacque una sincera amicizia che durò fino al 1374, anno della morte del Petrarca. La tranquilla vita di studioso, condotta dal Boccaccio a Firenze, fu bruscamente interrotta dalla visita del monaco senese Gioacchino Ciani che lo esortò ad abbandonare la poesia e gli argomenti profani. Boccaccio fu atterrito dal pensiero della morte imminente a tal punto che decise di bruciare le sue opere, fortunatamente ne fu dissuaso dall’amico Petrarca.

Nel 1362 fu invitato a Napoli da amici fiorentini ed egli accettò, sperando di trovare un’occupazione che gli permettesse la vita agiata e serena di un tempo. Purtroppo la Napoli in decadenza di Giovanna I era ben diversa dalla città prospera, colta e serena di Roberto d’Angiò e Boccaccio, deluso, ripartì ben presto. Dopo un breve soggiorno a Venezia per rivedere il Petrarca, intorno al 1370 si ritirò nella sua casa di Certaldo, presso Firenze, per vivere in modo appartato e potersi dedicare alla meditazione religiosa e allo studio (attività che furono interrotte solo qualche breve viaggio a Napoli tra il 1370 e il 1371). Nell'ultimo periodo di vita ricevette l'incarico dal comune di Firenze di dare vita ad una lettura pubblica, con relativo commento, della Divina Commedia di Dante ma nel 1374, a causa del sopraggiungere della malattia che lo avrebbe condotto alla morte il 21 dicembre 1375, dovette abbandonare l'incarico.

Boccaccio, pur non mancandogli la stima dei concittadini, visse fra amarezze, delusioni, angustie economiche, ben diversamente dal Petrarca che ebbe riconoscimenti, onori ed una vita agiata. La sua cultura ed i suoi interessi spirituali furono meno vasti di quelli del Petrarca, ma la sua vocazione letteraria e poetica fu grandissima e fu narratore sommo.

Opere

Nella produzione del Boccaccio si possono distinguere le opere della giovinezza, della maturità e della vecchiaia.

Opere della giovinezza

La caccia di Diana (1334–1335 )

La caccia di Diana un poemetto erotico composto di diciotto brevi canti in terzine. Boccaccio narra una visione primaverile: mentre il poeta assorto nelle sue pene amorose, uno spirito gentile, inviato da Diana convoca le pi belle dame napoletane (cita nomi, cognomi e vezzeggiativi) alla corte “dell’alta idea”. Guidate dall’ignota donna amata dal poeta le dame raggiungono una valle, dove si rinfrescano in un fiume, quindi Diana le divide in quattro schiere e comincia la caccia. Quando le prede sono radunate in un prato, la dea invita le giovani donne a sacrificare a Giove ed a votarsi al culto della castità, ma la donna amata da Boccaccio si ribella e, a nome di tutte dichiara che altro fuoco le accende. Diana svanisce in cielo e la “donna gentile” che le ha preferito Venere prega la dea che appare e trasforma gli animali catturati, tra i quali c’ il poeta in forma di cervo, in affascinanti giovani. Il breve poema erotico si conclude con l’immagine della potenza redentrice dell’amore (motivo costante nell’opera di Boccaccio). La forma del poemetto si rifà, probabilmente al sirventese dantesco in lode delle pi belle donne de la citade, cui accenna la Vita nuova, ma si veste classicamente secondo i modi della poesia alessandrina, mentre l’azione riprende gli schemi delle giocose galanterie epiche francesi e provenzali.

Il Filostrato (1335)

Il Filostrato segna l’esordio narrativo di Boccaccio ed un poema narrativo di argomento classico, in otto canti in ottava rima, ossia un “cantare” (Ottava rima = 4 coppie di endecasillabi rimati:AB\\AB\\AB\\CC).

Boccaccio assume le pseudonimo di Filostrato (vinto d’amore) e dedica l’opera all’amata Giovanna, una giovane vedova riluttante, (designata come Filomena). La vicenda non tratta dal mito, bensì dalla novella di Briseida e Diomede, inserita nel Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure, conosciuto da Boccaccio in una volgarizzazione e dalla Historia Troiana di Guido Delle Colonne. Le vicende sono una proiezione autobiografica: la lontananza dell’amata, partita per il Sannio (principato di Ultra).

Troiolo, figlio minore di Priamo, si innamora di Criseida, figlia di Calcas, l’indovino troiano che, prevedendo la caduta della città, fuggito nel campo greco. Troiolo conquista la ragazza con l’aiuto dell’amico Pandoro, cugino della giovane. In uno scambio di prigionieri, Criseida richiesta dal padre e consegnata ai Greci. Diomede si innamora di Criseida. Troiolo riconosce un fermaglio della ragazza su una veste che Deifobo ha tolto a Diomede in duello. Il giovane crede che Criseida l’abbia tradito e cerca di uccidere il rivale in battaglia, ma ucciso da Achille. La maggior parte della narrazione imperniata sugli amori di Criseida e Troiolo (gli ultimi avvenimenti occupano solo l’VIII canto).

I toni patetici sono prettamente letterari ed il poemetto ha un impegno culturale minimo ed concepito per un pubblico poco esigente, la spregiudicatezza borghese consente all’autore di rinnovare le situazioni audaci dei romanzi arturiani.

Il Filocolo (1336)

Nel 1336, Boccaccio conobbe Maria d’Aquino, figlia naturale del re e moglie di un gentiluomo di corte, se ne innamorò, corrisposto e rappresentò la dama nella sua opera letteraria con il nome di Fiammetta (Elegia di Madonna Fiammetta1) e, per invito di Maria, compose il Filocolo1.

Con il Filocolo inizia il secondo periodo dell’attività di Boccaccio. Il Filocolo e la Teseida sono opere dotte fino alla pedanteria, le cui allusioni classiciste sono destinate ad un pubblico colto, anche se l’autore non dimentica la società galante che ne ha consacrato la vena di scrittore.

Il Filocolo (con errata etimologia: fatiche d’amore) fu rimaneggiato con pedantesco intento chiarificatore e correttore dal grammatico rinascimentale Tizzone, che appiattì il linguaggio originario in moduli pi semplici e banali, mentre la sintassi originaria era assai pi complessa, ricca di latinismi ed epiteti, greve di forme arcaiche, il periodo era spesso artificioso. L’adozione della prosa fornì a Boccaccio lo strumento stilistico appropriato ad una struttura romanzesca ed avventurosa che consente all’autore innumerevoli divagazioni episodiche con inserti letterari che vanno dal pittoresco all’esotico alle favole autobiografiche, in una cornice presentata come storica, realistica e contemporanea.

L’opera ha un prologo epico: Giunone, nemica dei Troiani, si reca dal pontefice per esortarlo ad abbattere la potenza degli Svevi, ultimi discendenti della stirpe romana discesa da Enea, poi scende nell’Averno per chiedere aiuto alla furia Aletto contro Manfredi, il nuovo Enea.

Il papa si rivolge a Carlo d’Angiò che scende in Italia, sconfigge Manfredi e fonda il regno di Napoli. Ai tempi di Roberto, discendente di Carlo I, durante la celebrazione della Pasqua, Boccaccio conosce, nella chiesa di un convento di monache, Fiammetta, che lo invita a scrivere una specie di “poema” in prosa volgare, ossia un romanzo. La materia del Filostrato ingenuamente pagana, mentre nel Filocolo la vicenda ambientata alle origini dell’era cristiana, con vistosi anacronismi ed un travestimento classicheggiante del linguaggio e dei costumi.

Giulia Topazia ed il marito Quinto Lelio Africano, nobile romano discendente degli Scipioni, intraprendono un pellegrinaggio al santuario di San Jacopo di Compostella in Galizia per impetrare la grazia di un figlio. Il diavolo scatena contro i pellegrini un agguato, al quale sopravvive solo Giulia Topazia, che accolta per riparazione alla corte di Felice, re pagano di Spagna a Marmorina. Giulia topazia muore dando alla luce una bambina, Biancifiore. Lo stesso giorno la regina partorisce Florio. I due bambini sono allevati insieme, divenuti adolescenti s’innamorano, ma il re, ignorando le nobili origini di Biancifiore allontana il figlio, mandandolo a studiare a Montorio. I tentativi di separare gli innamorati, suscitando in loro odio e gelosia e cercando di distrarli con nuovi amori, falliscono.

Fileno, invano innamorato di Biancifiore, fugge disperato in Italia e si ferma ad attendere la morte in Toscana. Visti inutili i tentativi di distogliere il figlio dall’amore per la giovane, il re vende Biancifiore a dei mercanti orientali. Florio, con un gruppo di amici fidati, parte in incognito alla ricerca della ragazza, assumendo il nome di Filocolo. Il giovane attraversa l’Italia e salpa da Alfea (Pisa), ma fa naufragio a Partenope (Napoli), dove sosta in attesa di venti favorevoli. A Partenope, Florio invitato ad una festa ed ascolta il racconto di tredici questioni d’amore presentate dalla regina della festa, Fiammetta, figlia del principe della città.

Riprendendo la ricerca di Bianciflore, Filocolo – Florio raggiunge la Sicilia, Rodi ed Alessandria, dove, nascosto in un cesto di rose, riesce a penetrare, con l’aiuto del castellano Sadoc, ammirato dall’audacia del ragazzo, nella torre dell’Arabo, dove Biancifiore ed altre novantanove giovani donne sono prigioniere dell’Ammiraglio di Alessandria e destinate come tributo al correggitore di Babilonia.

Dopo una notte d’amore, i due giovani sono sorpresi dall’ammiraglio, innamorato della ragazza. L’Ammiraglio vorrebbe uccidere i due giovani, ma Venere li rende invulnerabili. Florio e Biancifiore sono condannati al rogo, ma si salvano grazie ad un anello magico ed ottengono il perdono per intercessione degli amici di Florio. L’Ammiraglio scopre che Biancifiore sua nipote.

Durante il viaggio di ritorno in Spagna, la compagnia sosta a Napoli, durante una visita alle antichità di Pozzuoli dove, da un pino lacerato esce la voce di Idalgos un infelice giovane toscano (episodio virgiliano di Polidoro - Ariosto: Ruggero sull’isola di Alcina). Ripreso il viaggio, la compagnia giunge nel luogo dove Fileno era stato trasformato in fonte. Il giovane riprende sembianze umane. Biancifiore e Florio, con Fileno e Galeone, che ha abbandonato Napoli, deluso nel suo amore per Fiammetta, fondano Certaldo (paese d’origine della famiglia di Boccaccio).

Florio e Biancifiore, col loro seguito raggiungono Roma, dove il sacerdote Ilario converte il gruppo che torna finalmente a Marmorina, dove ha luogo la riconciliazione coi sovrani. Alla morte di re felice, Florio incoronato re a Roma.

L’opera un omaggio alla corte ed alla cultura di Napoli, dialoghi, epistole, monologhi accrescono il pathos e contribuiscono ad approfondire l’analisi psicologica, mentre i brani descrittivi costituiscono spesso dei “pezzi di bravura”. Elemento prettamente ellenistico il meraviglioso dei sogni, che però arricchito da una dimensione spirituale. Le “questioni” cortesi diventano brevi racconti esplicativi che illustrano la casistica erotica.

I commenti moraleggianti dei romanzi ellenistici si infittiscono nel Filocolo dove la sorte avversa (la fortuna invidiosa) si risolve nel provvidenzialismo cristiano di Ilario, che prelude alla generale conversione al cristianesimo. È assai evidente la sproporzione tra le vicende romanzesche ed i sovrabbondanti elementi patetico – retorici. L’ambigua morale del romanzo alessandrino e bizantino (il rimando in particolare al noto capolavoro bizantino Leucippo e Cletifonte di Achille Tazio) in cui l’erotismo dissimulato nell’esaltazione della castità insidiata ed avventurosamente preservata dall’eroina, nel Filocolo riassorbita dal leale amore dei due giovani, consacrato dalle nozze prima secondo il rito pagano e poi secondo quello cristiano.

La concezione macchinosa, realizzata con uno schema narrativo episodico e dispersivo presuppone una voluta varietà di stili e la coscienza di essere l’iniziatore di una prosa narrativa che aveva come antecedenti solo la Vita nuova e le volgarizzazioni. Con le risposte alle questioni d’amore Boccaccio individua la misura narrativa a lui pi confacente, quella della novella.

Teseida delle nozze d’Emilia (1339-1341)

La Teseida un poema in ottave in dodici libri (Virgilio e Stazio - Tebaide), un vano tentativo programmatico di riprendere la poesia epica con un argomento classico, infatti, il poema Narra la guerra di Teseo contro le Amazzoni e contro Tebe. Alla vicenda bellica s’intreccia il racconto degli amori di due prigionieri tebani per una sorella della regina delle Amazzoni. Rispetto al Filocolo la struttura pi equilibrata.

Teseo, duca di Atene sconfigge le Amazzoni, che hanno instaurato un matriarcato in Scizia e ne sposa la regina Ippolita. Una visione induce Teseo a tornare ad Atene, portando con sé Ippolita e la sorella Emilia. La guerra contro Creonte, re di Tebe, lo costringe a partire (addentellato con la Tebaide di Publio Stazio). Quando Teseo torna, tra i prigionieri conduce ad Atene i tebani Arcita e Palemone (veri protagonisti). Entrambi s’innamorano di Emilia e si affrontano a duello. Teseo risolve il dissidio con un civile torneo, la cui posta la mano di Emilia. La sorte sembra favorire Arcita, ma Venere, che protegge Palemone, fa cadere da cavallo lo sposo che, in punto di morte affida all’amico della sposa.

La vicenda probabilmente un’invenzione originale anche se lo schema ricorda alcuni romanzi cortesi, contaminati con i modi narrativi epici (sfilate di guerrieri, cerimonie in onore di Marte e Venere, riti funebri e nuziali etc.). Nella Teseida l’elemento tragico si stempera nel melodramma fino a costituire la prima novella drammatica di Boccaccio, lontano (come Ariosto) dall’epos, ma imbevuto di cultura classica.

Il poema comprende un’elaborata lettera a Fiammetta e dodici sonetti che riassumono ciascun canto.

Nel 1340, la compagnia dei Bardi e quella dei Peruzzi subirono un tracollo finanziario, infatti Edoardo II d’Inghilterra aveva rifiutato di pagare i debiti contratti con le due compagnie. Nel tracollo fu coinvolto anche il padre di Boccaccio. Il mercante dovette richiamare il figlio a Firenze. Fra il 1346 ed il 1348 visse a Ravenna ed a Forlì, poi tornò a Firenze dove scampò alla peste e si stabilì definitivamente nel 1349, alla morte del padre, per occuparsi di quanto restava dei beni di famiglia.

A Firenze, era assai apprezzato per la sua cultura e ricevette alcuni incarichi come ambasciatore in Tirolo e ad Avignone. Nel 1351 gli fu affidato l’incarico di recarsi a Padova, dove si trovava il Petrarca, da lui conosciuto l’anno precedente, per invitarlo a Firenze ed offrirgli un insegnamento. Petrarca non accettò la proposta, però tra i due scrittori nacque una sincera amicizia che durò fino al 1374, anno della morte del Petrarca.

Boccaccio reagì al puritano ambiente guelfo di Firenze immergendosi nella letteratura, rifugiandosi nell’idillio e nei miti e rimpiangendo l’amatissima Napoli.

A questi anni appartiene la stesura dell’Ameto, la cui struttura forse la pi lambiccata tra quelle delle opere di Boccaccio.

Comedia delle ninfe fiorentine (1339-1340)

L’Ameto o Comedia delle ninfe fiorentine comprende sette racconti inseriti in una cornice di prose e versi (ogni analogia col Decameron finisce qui). I racconti si inseriscono nella pi vasta struttura dell’opera secondo uno schema allegorizzante. La “commedia” rappresenta sette ninfe novellatrici che, per mezzo dell’amore, ingentiliscono un rozzo ed incolto pastore. Il Ninfale un’opera allegorica (le sette ninfe rappresentano le virt teologali e cardinali).

Il rozzo pastore Aneto, vagando nei boschi di monte Corito (Fiesole) si ferma a riposare presso il luogo in cui il Mugnone si getta nell’Arno. Il pastore ode un canto, incuriosito sorprende un gruppo di ninfe che ascoltano il canto di Lia, ninfa protettrice del luogo. I cani assalgono il pastore, ma le ninfe li richiamano ed accolgono Ameto, che s’innamora di Lia. Attendendola, il pastore da voce al proprio amore con un canto. Durante le feste in onore di Venere, ninfe e pastori si recano al tempio della dea.

Ameto rinnega la rozza vita trascorsa nei boschi, desidera divenire seguace d’amore e canta le lodi di Lia e delle sue sei compagne. Lia propone di trascorrere le ore pi calde del giorno narrando ognuna i propri amori e cantando la divinità cui devota. Mopsa (saggezza) narra come attrasse Afron (il dissennato), Emilia (giustizia) racconta il suo amore per Ibrida (il superbo), Adiona (temperanza) quello per Dioneo (il dissoluto), Acrimonia (fortezza) l’amore per Apaten (l’apatico), Agapes (carità), si innamora di Apiros (il senza fuoco) e lo infiamma con la propria sensualità, a lungo trattenuta, essendo sposata ad un ricco vecchio, Fiammetta (speranza) narra i propri amori con Caleone (il disperato), Lia (fede) l’amore per Ameto (il selvaggio).

Terminati i racconti sette cigni vincono in cielo sette cicogne poi, annunciata da un lampo, un tuono ed un canto, compare Venere celeste, guida all’amore vero, giusto e santo. La dea invita le ninfe a compiere l’iniziazione di Ameto. Il pastore purificato nella fonte e rivestito con nuovi abiti. Ameto riscattato dalla sua rozzezza, davanti alla dea canta dio uno e trino e le sette donne che lo hanno incivilito. A sera ognuno lascia il luogo della festa, l’autore che, di nascosto, ha ascoltato i racconti delle ninfe, invidia Ameto e si dispone a tornare alla propria triste casa dove lo attende un vecchio freddo ed avaro (il padre). Boccaccio auspica incensi per Venere e ghirlande per Fiammetta che lo hanno spronato a scrivere e dedica l’opera all’amico fiorentino Niccolò di Bartolo del Buono(nel 1360, con Pino dei Rossi, altro amico di Boccaccio, partecipa ad una congiura antiguelfa).

L’Ameto pare scritto per un circolo di raffinati aristocratici e l’allegoria potrebbe avere funzione cautelativa in un’opera in cui sono identificabili personaggi ed episodi della cronaca mondana fiorentina. Mopsa Lottiera di Odoaldo della Tosa, mal maritata col priore Nerone di Nigi di Dietisalvi, nell’Ameto Mopsa rappresenta la virt ma conquista il dissennato pescatore Afron con un mezzo spogliarello. Emilia, la giustizia Emiliana dei Tornaquinci moglie irrequieta dello speziale Giovanni di Nello. Adiona, la temperanza Dianora di Niccolò Gianfigliazzi, moglie di Pacino Peruzzi [Boccaccio gioca col nome del marito: peruzzi - pere - orti di Pomena [Pomona], infatti la dama guelfa coltiva sollecita i suoi orti (marito) col cuore amando il sommo Giove].

Agapes, la carità, adombra una discendente di usurai. Carattere comune dei racconti l’evocazione mitica che dissimula le allusioni al presente, e gli amori che le ninfe narrano, presentano la virt come un correttivo del vizio opposto, ma in realtà sottolinea l’attrazione irresistibile tra temperamenti sensuali diversissimi. La cornice e la raffinata stilizzazione dei racconti sono impreziosite da uno smagliante realismo in cui Boccaccio distilla invenzioni lessicali e reminiscenze colte.

Con l’episodio di Lia (la fede) e Ameto, Boccaccio riprende la leggenda delle origini di Firenze, contaminando le Genealogie di Paolo da Perugina (morto nel 1348 a Napoli, bibliotecario di corte, amico di Boccaccio) e le metamorfosi di Ovidio. L’incontro della ninfa Fiammetta con il focoso Caleone (la speranza salva il disperato dal suicidio) costituisce un elemento di quella leggenda autobiografica che Boccaccio ha costruito, introducendola nel Filocolo, e riprendendola nell’Amorosa Visione e nell’Elegia di Madonna Fiammetta, plasmando la sua musa, come Laura e Beatrice.

Amorosa visione (1341 - 1342)

L’ Amorosa visione (1341 - 1342) ebbe un emulo e perfezionatore nel Petrarca dei Trionfi. Il poema si apre con tre componimenti acrostici le cui iniziali corrispondono alle iniziali di tutte le terzine dell’opera. La visione una ripresa pedantesca del genere medievale

Una donna gentile inviata al poeta da Cupido. La donna gentile invita Boccaccio ad abbandonare i “vani diletti” per seguirla verso il conseguimento della vera felicità. La donna e Boccaccio giungono ad un castello, ma il poeta rifiuta di entrare attraverso la porta stretta (virt e segue due giovani donne attraverso la porta larga, portando con sé la donna gentile. Due sale del castello sono ornate con affreschi allegorici degni di Giotto. Gli affreschi della prima sala rappresentano i trionfi delle scienze del trivio e del quadrivio (grammatica, dialettica, retorica \\ geometria, aritmetica, astronomia, musica), della gloria, della ricchezza e dell’amore.

Gli affreschi rappresentano famosi letterati, personaggi storici, biblici, mitologici. La seconda sala dedicata al trionfo della fortuna. In seguito, il poeta, senza lasciarsi convincere dalla donna gentile s’inoltra nel giardino del casello, dove incontra altre donne, tra le quali la “bella lombarda” e, in disparte Fiammetta, alla quale promette di narrare in altra occasione quello che vide seguendo la donna gentile sulla via della virt.

Il poema allegorico – didattico si conclude dove avrebbe dovuto sviluppare la parte educativa e riflette soprattutto il fascino esercitato sullo scrittore dalla vita mondana.

Elegia di Madonna Fiammetta (1343 -1344)

Nell’Elegia di Madonna Fiammetta1 (1343 -1344) la prosa di Boccaccio ormai stilisticamente sviluppata, ed ha abbandonato il primitivo alessandrinismo narrativo. A differenza delle opere precedenti, quindi, l’elegia abbandona miti, intrighi epici ed allegorie, solo le tragedie senecane e gli espliciti, ma contenuti, ricordi classici, ornano elegantemente l’opera. Il patetico e la declamazione oratoria prevalgono sull’azione.

Nella dedica alle “innamorate donne” l’opera presentata come una confessione in prima persona dell’infelice vicenda della protagonista. L’amore – passione, cantato da Cavalcanti, analizzato nella sua essenza drammatica e nella sua fisicità con notevole acume psicologico. L’innamoramento non provoca conflitti, infatti Fiammetta, pur riconoscendosi cristianamente peccatrice, si rammarica unicamente di essere stata costretta a nascondere il suo amore, per proteggere la sua reputazione di moglie onesta e rimpiange l’età dell’oro, quando complicazioni morali non soffocavano lo spontaneo manifestarsi dei sentimenti.

Nel prologo alle donne alle donne innamorate, fiammetta afferma che nel racconto non troveranno né false favole greche, né sanguinose battaglie troiane, bensì battaglie amorose, , desideri, lacrime, sospiri, che le hanno tolto, il sonno, l’appetito, la gioia e la bellezza. Nobile, bella, corteggiata ha sposato un uomo cortese e ha vissuto contenta del suo matrimonio finché non stata turbata da un sogno premonitore. In seguito, in una chiesa, tra i giovani che l’ammirano, scorge uno straniero che la contempla di nascosto. Fiammetta se ne innamora, il giovane Panfilo stringe amicizia con il marito di Fiammetta.

La dama ed il giovane si rivelano i reciproci sentimenti ed il loro amore si realizza. Una notte, Panfilo annuncia all’amante che il padre l’ha richiamato nella sua città e promette di tornare dopo quattro mesi, ma Panfilo non torna. Un giorno, da un mercante della città di Panfilo, fiammetta apprende che Panfilo si sposato, un’altra dama presente al colloquio turbata dalla notizia e fiammetta rosa anche dalla gelosia. Il dolore fa deperire la dama ed il marito, preoccupato, la conduce a Baia, ma il soggiorno nei luoghi dove stata felice con Panfilo l’abbatte ulteriormente. Un servitore mandato da fiammetta nella città dell’amato, torna con la notizia che Panfilo non si sposato, ma ama, riamato, una donna bellissima. Fiammetta, disperata, tenta il suicidio, ma trattenuta mentre tenta di gettarsi da una terrazza. Un giorno fiammetta viene a sapere che Panfilo sta tornando a Napoli, ma , dopo una spasmodica attesa, giunge a Napoli un omonimo dell’amato.. disperata fiammetta aspetta la morte e spera compassione per la sua triste vicenda.

Ninfale fiesolano (1344 -1346)

Nel Ninfale fiesolano (1344 - 1346), poemetto in ottave, nelle forme elegiache della favola eziologica, Boccaccio immette un contenuto nuovo senza curarsi delle contraddizioni proprie di un’ambientazione classica del racconto. La vicenda amorosa dei due adolescenti ingenui e distintivi esige un colorito naturalistico che esula dall’erotismo arcadico. I riferimenti dotti scompaiono nella narrazione degli amori di Africo e Mensola, un pastore ed una ninfa la cui morte da origine agli omoni affluenti dell’Arno. La storia ravvicinata nel tempo per i costumi dei personaggi, i dialoghi, il linguaggio coerentemente popolare, mentre la favola e la forma classicheggiante sono mero pretesto, perfettamente individuati sono anche i rapporti tra genitori e figli.

L’azione posta nei tempi antecedenti la fondazione di Fiesole. Diana ha raccolto un gruppo di vergini a lei devote e le ha ammonite perché si guardino dall’uomo pena il bando e la morte. . il giovane pastore africo s’innamora di una delle fanciulle, Mensòla. Venere in sogno lo esorta a superare ogni timore ed a cercare la giovane. Non avendo trovato Mensola , africo torna a casa e racconta al padre di desiderare una cerbiatta bianca come la neve. Il padre comprende e lo ammonisce di non toccare le cerve sacre a Diana e gli ricorda che il proprio padre Mugnone, innamoratosi di una ninfa fu trasformato dalla dea nel fiume omonimo. Africo si ostina a cercare Mensola, la trova e la insegue scongiurandola di dargli ascolto, la ragazza gli scaglia contro un dardo, ma vedendolo così bello, glli grida di scansarsi.

I genitori di Africo vedono, con preoccupazione, il figlio deperire a causa dell’amore non corrisposto. Venere suggerisce al ragazzo di travestirsi da donna e mescolarsi alle ninfe. Con tale stratagemma Africo diventa amico di memsola, ma, durante un bagno, le ninfe lo scoprono e fuggono, Africo raggiunge Mensola che non resiste alla sua violenza. Terrorizzata dalle minacce di Diana, la ragazza vorrebbe uccidersi, ma africo le consiglia di tornare con lui a casa dei genitori. Mensola indecisa, però promette di incontrare nuovamente il giovane. Africo torna molte volte, inutilmente nel luogo fissato, ma Mensola non compare. Il ragazzo,disperato, si uccide. Giratone seppellisce il figlio in riva al fiumiciattolo che assume il nome di Africo. Mensola ha fatto credere alle compagne di essere sfuggita al giovane che ama segretamente. Dopo tre mesi, confidatasi con l’anziana Sinidecchia, la ragazza scopre di essere incinta, vorrebbe cercare Africo e seguirlo a casa, ma la vergogna la trattiene.

Quando nasce il bambino, Mensola lo ama tanto teneramente quanto infantilmente, ma sopraggiunge Diana, spaventata la ragazza lo nasconde in un cespuglio e fugge al fiume, diana ordina alla corrente di trattenerla e la ninfa si converte in acqua. Da allora il fiume si chiama Mensola. Sinidecchia porta il bambino ai genitori di Africo, che lo chiamano Pruneo, perché trovato tra i pruni. Quando Pruneo raggiunge i diciotto anni, attalante fonda in quei luoghi fiesole, Pruneo ed i nonni vanno ad abitare in città, giratone diventa consigliere e Pruneo siniscalco. Il giovane sposa la nobile Tironea e diviene signore delle tere fra i fiumi Mensola e Mugnone. Dopo una breve storia di Fiesole e Firenze, Boccaccio ringrazia Amore, già invocato all’inizio del poemetto.

Negli anni tra il 1344 ed il 1346, Boccaccio superò il disagio causato dal ritorno in Toscana ed a condurre una vita pi serena. Tra il 1345 ed il 1346, lo scrittore visse a Ravenna, alla corte di Ostasio da Polenta e nel 1347 a Forlì, ospitatola Francesco Ordelaffi, nel 1348, durante la peste , era ormai tornato a Firenze. Tra il 1349 ed il 1351, Boccaccio si dedicò alla stesura del Decameron. Durante la permanenza a Firenze il comune gli affidò numerosi incarichi diplomatici, tra questi la consegna di una sovvenzione a suor Beatrice, figlia di Dante (1350) e la restituzione a Petrarca dei beni confiscati mezzo secolo prima al padre. (1351). Dopo la morte del padre, lo scrittore considerò la possibilità di stabilirsi a Napoli e nel 1362, sperando di trovarvi un’occupazione, accettò l’invito di due amici fiorentini residenti nel capoluogo partenopeo, Francesco Nelli ed il gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli, ma dopo la morte, nel 1343, di Roberto d’Angiò, il regno era travagliato da una grave crisi politica ed economica e la Napoli in decadenza di Giovanna I era ben diversa dalla città prospera, colta e serena di Roberto d’Angiò.

Boccaccio, deluso, ripartì ben presto, preferendo tornare in Toscana per stabilirsi a Certaldo, abbandonando Firenze, il cui governo aveva, nel 1360, represso una congiura antiguelfa, condannando a morte od esiliando alcuni amici di Boccaccio. Ad uno di loro, Pino de’Rossi, scrisse una “Consolatoria” in volgare che espressione di un desolato stoicismo. A Certaldo, Boccaccio fu turbato dalla visita dell’eremita Gioacchino Ciani che, riferendogli una visione (sosteneva di aver visto un certosino, Pietro Petroni, morto in un’aura di santità), esortò lo scrittore a pentirsi dei suoi scritti peccaminosi. Boccaccio meditò di distruggere le sue opere precedenti, compreso il suo capolavoro, il Decameron, fortunatamente, si recò dall’amico Petrarca, che lo dissuase dal proposito (1363).

Opere della maturità

Il Decameron (1349 - 1351)

Il capolavoro del Boccaccio il Decamerone1. Il libro narra di un gruppo di giovani che, trattenendosi fuori città (per dieci giorni, appunto) per un lieto convivio, raccontano a turno le novelle, di taglio umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato o comunque non adeguatamente considerato nella storia della letteratura.

Opere della vecchiaia

Nell’ultimo periodo della sua esistenza Boccaccio, che aveva ricevuto gli Ordini minori, si dedicò alla stesura di opere erudite ed umanistiche mirando, insieme a Petrarca a fondare un umanesimo cristiano. A questo periodo appartengono alcune delle rime ed il Corbaccio, una Genealogia deorum Gentilium (1350 - 1360) due serie di biografie romanzate: De claris mulieribus (1360 -1362) biografie di donne famose, a cominciare da Eva, e il De casibus virorum illustrium (1355 - 1365). Le egloghe del Bucolicum Carmen sono tra le sue liriche migliori.

Nel 1373, Boccaccio ebbe l’incarico dal governo di Firenze di leggere pubblicamente la Commedia dantesca, ma la salute malferma lo obbligò a lasciare l’incarico ed a Tornare a Certaldo dove morì il 21 dicembre del 1375, frutto di tale incarico sono il Trattatello in laude di Dante1 e le Esposizioni sopra la Comedìa, esegesi dei primi diciassette canti dell’Inferno, interrotta a causa della malattia.

Tali opere sono in latino e di carattere erudito: Boccaccio raccoglie le testimonianze del passato e propone avvenimenti e personaggi come modelli ai contemporanei. Tale attività accomuna il Boccaccio ed il Petrarca.

  • De casibus virorum illustrium - storia di personaggi illustri, a partire da Adamo, che sono caduti dalla fortuna alla miseria.
  • De claris mulieribus - biografie di donne famose, a cominciare da Eva.
  • De genealogiis deorum gentilium - raccolta di notizie mitologiche che fu largamente consultata dai posteri e che contribuì a diffondere la conoscenza dell’antichità classica. È la pi importante delle opere erudite del Boccaccio.

Corbaccio (sottotitolo: il labirinto di amore - 1365)

Il Corbaccio un racconto la cui trama, tenue ed artificiosa, pretesto per un dibattito moralistico e satirico. L’opera, però, per certi aspetti, ricalca il tradizionale racconto allegorico medievale, col passaggio dalla perdizione alla salvezza. Per il tono e la destinazione, l’opera si iscrive nella tradizione della letteratura misogina. Il titolo, forse, fa riferimento al corvo ritenuto simbolo di malaugurio e di passione sconsiderata e traviante, oppure potrebbe riferirsi al termine spagnolo “corbacho” indicante una frusta usata contro le donne.

Lo scritto va inserito nella crisi scatenata nel Boccaccio dall’intervento di Gioacchino Ciani, ma agli scrupoli morali, bisogna aggiungere l’esercitazione letteraria di un autore ormai affermato ed il successo assicurato dalla connotazione ironica e fustigatrice, che ne ha fatto uno dei testi pi frequentemente citati nella letteratura misogina, insieme a Giovenale, San Girolamo, alla letteratura di devozione ed alle opere dei clerici vagantes. Nonostante i palesi intenti moralistici, le pagine migliori sono denotate dallo stile agile e dalla mordente vena satirica (ripresa dall’Aretino).

L’autore innamorato di una bella vedova che lo schernisce per la sua origine plebea e per l’età avanzata. Boccaccio deluso, medita la morte, ma poi, in sogno, attua la vendetta. Lo spasimante respinto sogna di entrare nel labirinto di Amore, poi, attraverso illusorie lusinghe, giunge ad una selva, che definisce il porcile di Venere, dove tramutati in bestie, scontano la loro colpa quanti non hanno saputo sfuggire alle insidie d’amore. All’autore appare l’ombra del marito della vedova, che gli svela i difetti, i vizi, le malvagità e l’impudicizia delle donne, ed in particolare dell’ex – consorte, e lo incarica di scrivere ciò che ha visto e che gli stato svelato.

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vedi anche:

1: i testi indicati sono liberamente disponibili su [1]


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