Francesco Petrarca
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Nacque ad Incisa, nei pressi di Arezzo, da Eletta Cangiani (o Canigiani) e dal notaio ser Pietro di ser Parenzo (soprannominato Petracco, guelfo bianco amico di Dante esiliato da Firenze per motivi politici), e trascorse l'infanzia in Toscana (prima ad Incisa e poi a Pisa), dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche.
Ma già nel 1311 la famiglia (nel frattempo era nato il fratello Gherardo) si era trasferita a Carpentras, vicino ad Avignone (Francia), dove Petracco sperava in qualche incarico al seguito della corte papale.
Table of contents |
2 Opere 3 Petrarca filologo 4 Link |
Note biografiche
Malgrado le inclinazioni letterarie, manifestate precocemente nello studio dei classici e in componimenti d'occasione, Francesco, dopo gli studi grammaticali compiuti sotto la guida di Convenevole da Prato, venne mandato dal padre prima a Montpellier e successivamente, insieme con Gherardo, a Bologna per studiare diritto civile.
Morto il padre, poco dopo il rientro in Provenza (1326), Petrarca incontrò il 6 aprile 1327, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, Laura e se ne innamorò. Un amore autentico per una donna reale (come insistette il poeta nelle sue confessioni), del quale non restano tuttavia dati documentari: esso non venne ricambiato e assurse tra i motivi centrali dell'esperienza umana e poetica dello scrittore.
Attorno al 1330, consumato il modesto patrimonio paterno, Petrarca si diede alla carriera ecclesiastica, abbracciando gli ordini minori e impegnandosi a osservare il celibato e a recitare l'ufficio. In tale veste fu assunto quale cappellano di famiglia dal cardinale Giovanni Colonna.
Appoggiato da questa illustre e potente famiglia romana (fu amico anche di Stefano e Giovanni), compì in quegli anni numerosi viaggi in Europa, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia: fu a Parigi, a Gand, a Liegi (dove scoprì due orazioni di Cicerone), ad Aquisgrana, a Colonia, a Lione.
Ad Avignone e ritorno
Parallelamente alla formazione culturale classica e patristica, cresceva il suo prestigio in campo politico: nel 1335 ebbe inizio il suo carteggio con il Papa, inteso non solo a sedare le pi incresciose rivolte della penisola, ma anche a ottenere il ritorno della sede pontificia da Avignone a Roma.
A questo periodo (1336-1337) risalgono anche la prima visita dell'Urbe, il trasferimento da Avignone a Valchiusa (dove aveva acquistato una casa) e la nascita di un figlio naturale, Giovanno, che morì in giovane età. All'anno successivo rimonta il progetto delle opere umanisticamente pi impegnate, la cui parziale stesura, dell'Africa in particolare, gli procurò tale notorietà che contemporaneamente (il 1° settembre 1340) gli giunse da Parigi e da Roma il desiderato invito dell'incoronazione poetica.
Scelta Roma, preparata l'orazione per la solenne cerimonia, Petrarca scese in Italia a Napoli, ove, sotto il patrocinio del re Roberto D'Angiò, lesse alcuni episodi del poema e discusse, in tre giornate, di poesia, dell'arte poetica e della laurea: l'8 aprile del 1341, per mano del senatore Orso dell'Anguillara, veniva incoronato magnus poeta et historicus, e otteneva il privilegium lauree.
Questo altissimo riconoscimento, che sarà al centro della battaglia combattuta da Petrarca per il rinnovamento umanistico della cultura, lo confortò a proseguire la stesura dell'''Africa'', ospite di Azzo da Correggio a Parma e a Selvapiana sino al 1342.
Altri eventi turbarono la sua vita a Valchiusa: come la conoscenza di Cola di Rienzo, alle cui istanze Petrarca ottenne dal Papa la promessa della proclamazione, nel 1350, del giubileo romano, la monacazione (tra i certosini di Montreux-le-Jeune) di Gherardo, la nascita (da una misteriosa relazione) di una figlia illegittima, Francesca.
Da Napoli a Parma e Verona
Verso la fine del 1343 ritornò, per incarico del Papa, a Napoli, ripassò da Parma e riparò infine, a causa della guerra che turbava l'Emilia, a Verona, ove scoprì i primi sedici libri delle "Epistole" ad Attico e le "Epistole" a Quinto e a Bruto di Cicerone. Dall'autunno del 1344 al 1347 risiedette a Valchiusa, donde lo distolse l'entusiastica adesione alla rivolta di Cola, ben presto smorzata amaramente dagli eventi, quando già aveva varcato le Alpi.
Rinunciò al viaggio romano e si arrestò a Parma, ove lo raggiunse la notizia (19 maggio 1348) della morte di Laura, colpita dalla peste così come gli amici Sennuccio del Bene, Giovanni Colonna, Francesco degli Albizzi.
Lasciata Parma, Petrarca riprese a vagabondare per l'Italia (fu a Carpi e a Ferrara, a Padova su invito di Francesco da Carrara, a Mantova, a Firenze, ove rinnovò i legami amicali con Boccaccio e altri letterati toscani, e a Roma), fino al 1351, quando, rifiutata ogni altra offerta, rientrò (anche su pressione papale) in Provenza, donde scrisse le prime Epistole a Carlo IV di Boemia perché scendesse in Italia a sedare le rivolte cittadine.
Nel giugno del 1353, in seguito alle aspre e pungenti polemiche ingaggiate con l'ambiente ecclesiastico e culturale di Avignone, Petrarca lasciò la Provenza e accolse l'ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche di amici e nemici, collaborò con missioni e ambascerie (a Genova, a Venezia e a Novara, incontrò l'imperatore a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea, cercando di indirizzarla verso la distensione e la pace.
Via dalla peste
Nel giugno del 1361 per sfuggire la peste abbandonò Milano per Padova e poi (1362) per Venezia, dove la Repubblica Veneta gli donò una casa in cambio della promessa di donazione, alla morte, della biblioteca alla città lagunare. Il tranquillo soggiorno veneziano, trascorso fra libri e amici, fu turbato nel 1367 dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti: amareggiato per l'indifferenza dei veneziani, Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito di Francesco da Carrara e si stabilì a Padova, donde, di lì a poco (1370), si trasferì con i suoi libri ad Arquà, un tranquillo paese sui colli euganei, nel quale, per generoso dono del tiranno padovano, si era costruito una modesta casa.
Da Arquà (dove l'aveva raggiunto con il marito Francescuolo da Brossano la figlia Francesca) si mosse di rado: una volta per sfuggire alla guerra scoppiata tra Padova e Venezia, un'altra per pronunciare una solenne orazione che ratificava la pace tra le due città venete.
Colpito da una sincope, morì ad Arquà nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374: per volontà testamentaria, le sue spoglie furono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese; poi furono collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla chiesa, dove tutt'ora si trovano.
Opere
Opere latine in versi
Opere latine in prosa
Opere in volgare
Petrarca filologo
Nei suoi viaggi Petrarca fu attento e fortunato ricercatore di testi classici. Tra il 1328 ed il 1329 riuscì ad entrare in possesso della 1ª, 3ª, e 4ª decade di Tito Livio. Nel 1333 scoprì a Liegi l’orazione Pro Archia di Cicerone e, nel 1345, a Venezia, scopri le epistole ad Atticum del grande oratore ed a Firenze, verso il 1350, le Institutiones di Quintiliano. Nel 1361 dimostrò a Carlo IV la falsità dei presunti privilegi concessi da Cesare e da Nerone all’Austria che ne faceva la base delle proprie rivendicazioni d’indipendenza. In seguito dimostrò erronea l’attribuzione di alcuni scritti a Seneca ed a Sant'Agostino
Il Petrarca visse combattuto tra l’istintiva sensualità ed i dettami della ragione, della morale e della fede, tra la fedeltà all’idea monarchica ed il fascino classico dell’ideale repubblicano, godette dei proventi di canonicati, ossequiò il papa, ma attaccò la corte avignonese. Il poeta esaltò la meditazione religiosa, ma non seppe sottrarsi alle passioni del mondo e, pur discutendo sul cristianesimo e sulla fede, non seppe eludere il fascino del paganesimo latino. Proprio a causa dei contrasti che agitarono il suo animo, il Petrarca non pi un vero uomo del medioevo.
Lo studio appassionato degli autori classici, il fervore nel ricercare, durante i suoi viaggi, le opere classiche dimenticate, l’entusiasmo nel celebrare Roma antica, gli conferiscono la fisionomia ed il carattere di un umanista del quattrocento. Petrarca ebbe dell’umanista il desiderio di volgersi all’antichità come ad un modello e di studiare il mondo antico con curiosità, cautela ed obiettività del tutto nuovi.
Nella sua vita morale rimase tuttavia legato alla spiritualità medievale, pur conferendole un’inconfondibile impronta personale. Il suo desiderio del Cielo non ha il fervore che troviamo in Dante, il suo disprezzo del mondo non ha il rigore dei mistici, egli avverte la caducità delle cose e degli affetti e la tragica consapevolezza della morte sempre presente al suo spirito, però il sentimento religioso ed il vagheggiamento letterario sono per lui un rifugio.
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