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Lucio Anneo Seneca


Lucio Anneo Seneca

Lucius Annaeus Seneca (spesso conosciuto semplicemente come Seneca, o Seneca il giovane) (4 AC circa - 65) fu filosofo, politico e drammaturgo dell'antica Roma.

Lucio Annéo Seneca, figlio di Seneca il Vecchio, nacque in Spagna, a Cordova, nel 4 AC, da una ricca famiglia equestre e fu educato a Roma nelle scuole filosofiche e retoriche, in vista della carriera politica. Nel 31, iniziò l'attività forense e la carriera politica, nel 41, l'imperatore Claudio lo condannò alla relegazione in Corsica con l'accusa di coinvolgimento nell'adulterio di Giulia Livilla, figlia minore di Germanico e sorella di Caligola (in realtà si voleva colpire l'opposizione politica).

In Corsica Seneca restò fino al 49, quando Agrippina, moglie di Claudio, riuscì a ottenere il suo ritorno dall'esilio e lo scelse come tutore del figlio di primo letto, il futuro imperatore Nerone. Affiancato da Afranio Burro, prefetto del pretorio, Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane Nerone (54 - 68) e lo guidò durante il cosiddetto periodo del buon governo di Nerone, ispirato a principi di equilibrio e di conciliazione fra i poteri del principe e del senato. Progressivamente tale rapporto si deteriorò e, verso il 62, dopo la morte di Burro, con Nerone ormai avviato alla fase conclusiva del suo regno, Seneca, vista venir meno la sua influenza di consigliere politico, si ritirò gradualmente alla vita privata, dedicandosi ai suoi studi.

Inviso ormai e sospetto a Nerone e a Tigellino, nuovo prefetto del pretorio, Seneca fu coinvolto nella congiura di Pisone (aprile 65), di cui era forse solo al corrente, senza esserne partecipe e, nella repressione che la seguì, fu condannato a morte da Nerone e si tolse la vita.

Centro della riflessione di Seneca è l'uomo e la sua possibilità di raggiungere la serenità e la libertà interiore attraverso il dominio della razionalità sulle passioni. L'elaborazione di un nuovo linguaggio dell'interiorità da lui compiuta fu fondamentale per il pensiero cristiano.

Table of contents
1 Opere
2 I Dialoghi
3 Le Epistole a Lucilio: la lettera filosofica come genere letterario
4 Lo stile
5 Le tragedie
6 L'Apokolokyntosis
7 Gli epigrammi

Opere

Opere superstiti di carattere filosofico:

  1. Dialoghi (titolo che non implica, generalmente, la forma dialogica, ma si riferisce alla tradizione del dialogo filosofico risalente a Platone) sono trattati, per lo più brevi, su questioni etiche e psicologiche, raccolti, dopo la morte di Seneca, in dodici libri: I. Ad Lucilium de providentia; II. Ad Serenum de constantia sapientis; III-V. Ad Novatum de ira libri III; VI. Ad Marciam de consolatione; VII. Ad Gallionem de vita beata; VIII. Ad Serenum de otio; IX. Ad Serenum de tranquillitate animi; X. Ad Paulinum de brevitate vitae; XI. Ad Polybium de consolatione; XII. Ad Helviam matrem de consolatione.
  2. De beneficiis
  3. De clementia, indirizzato a Nerone
  4. Epistulae morales ad Lucilium. (124)

Opere superstiti di carattere scientifico:

Naturales quaestiones.

Tragedie cothurnatae (ossia di argomento greco):

Hercules furens, Tròades, Phoenissae Medéa, Phaedra, Oédipus, Agamemnon, Thyestes, Hercules Oetaeus, Ludus de morte Claudii (o Apokolokyntosis); una satira menippea, ritenuta autentica, sulla singolare apoteosi dell'imperatore, Claudio, trasformato in zucca.

Epigrammi: è assai dubbio che l’autore sia veramente Seneca

Numerose sono le opere perdute: una biografia del padre, numerose orazioni, trattati di carattere fisico, geografico, etnografico, opere filosofiche (fra cui i Moralis philosophiae libri, cui accenna più volte egli stesso), altre opere sono di dubbia attribuzione o sicuramente spurie: fra queste il caso più noto è quello della corrispondenza fra Seneca e San Paolo, leggenda che contribuì ad alimentare la fortuna di Seneca nel Medioevo.

I Dialoghi

Poche opere di Seneca sono databili con precisione. La Consolatio ad Marciam, scritta sotto il principato di Caligola (37–41) è indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo per consolarla della perdita di un figlio. Il genere della consolazione, già presente nella tradizione filosofica greca, ruota intorno ad una serie di temi morali (la fugacità del tempo, la precarietà della vita, la morte come destino ineluttabile dell'uomo, ecc.) che sono anche alla base della riflessione filosofica di Seneca. A tali temi, il filosofo fa riferimento nelle due consolationes scritte negli anni dell'esilio ([[41]– 49) e pervenute: quella Ad Helviam matrem per tranquillizzare la madre l'altra Ad Polybium, un potente liberto di Claudio, per consolarlo della perdita di un fratello. Tale opera è costata a Seneca l'accusa di opportunismo poiché, in realtà, Seneca adula indirettamente l'imperatore per ottenere il perdono).

Le singole opere dei Dialogi sono trattazioni autonome di problemi dell' etica stoica, caratteristica della visione filosofica di Seneca, uno stoicismo, tuttavia, che ha smorzato l'antico rigore dottrinale e che è privo di chiusure dogmatiche.

I tre libri del De ira, scritti in parte prima dell'esilio, ma pubblicati dopo la morte di Caligola, analizzano l'origine delle passioni umane e i modi per inibirle e dominarle (all'ira è dedicato il III libro). L'opera è dedicata al fratello, al quale Seneca dedicò qualche anno dopo anche il De vita beata (forse del 58), che affronta il problema della felicità e del ruolo che nel perseguimento di essa possono svolgere gli agi e le ricchezze.

In realtà, dietro il problema generale, Seneca sembra voler confutare le accuse di incoerenza fra i principi professati e la reale condotta di vita che gli aveva consentito, grazie alla posizione occupata a corte, di accumulare un patrimonio enorme. Dopo aver stabilito che l'essenza della felicità è nella virtù, non nella ricchezza e nei piaceri, (polemica contro l'epicureismo deteriore), Seneca legittima l'uso della ricchezza se essa facilita la ricerca della virtù, infatti, saggezza e ricchezza non sono necessariamente antitetiche, l'importante non è il non possedere ricchezze, bensì il non farsi possedere da esse.

Il distacco del saggio dalle contingenze terrene è anche il tema della trilogia dedicata all'amico Sereno, il quale, abbandonato l'epicureismo, si accosta all'etica stoica: De constantia sapientis, De otio, De tranquillitate animi. Il De constantia sapientis (pubblicato dopo il 41) elogia l'imperturbabilità e la forza morale dello stoico, di fronte alle ingiurie e alle avversità. Il De tranquillitate animi (l'unico parzialmente in forma dialogica) esamina la partecipazione del saggio alla vita politica, problema fondamentale nella riflessione filosofica di Seneca, il quale cerca una mediazione fra i due estremi dell'otium contemplativo e dell'impegno proprio del civis romano, suggerendo un comportamento capace di adattarsi alle condizioni politiche per conseguire la serenità e la capacità di giovare agli altri, se non con l'impegno pubblico, almeno con l'esempio e la parola. Nel De otio la scelta di una vita appartata è inequivocabile. si tratta, in realtà, di una scelta forzata, resa necessaria da una situazione politica compromessa tanto gravemente da non lasciare alternative al filosofo, diversa dal rifugio nella solitudine contemplativa di cui esalta i pregi (l'opera è, presumibilmente, del 62, ai tempi del ritiro dalla vita politica).

Agli anni tra il 49 e il 52, sembra risalire il De brevitate vitae che tratta il problema della fugacità del tempo e dell'apparente brevità della vita che tale sembra perché è consumata in tante occupazioni futili senza averne piena consapevolezza.

Agli ultimi anni appartiene il De providentia, il dialogo che apre la raccolta. Lo scritto affronta il problema della contraddizione fra il progetto provvidenziale, che secondo la dottrina stoica presiede alle vicende umane (in polemica con la tesi epicurea dell'indifferenza divina) e la sconcertante constatazione di una sorte che sembra spesso premiare i malvagi e punire gli onesti. Seneca sostiene che le avversità che colpiscono chi non le merita non contraddicono tale disegno provvidenziale, bensì attestano la volontà divina di mettere alla prova i buoni. Lo stoico riconosce il posto che nell'ordine cosmico gli è asségnato, e vi si adegua.

Le Naturales quaestiones costituiscono una raccolta di sette trattati, dedicati a Lucilio e successivi al ritiro dalla vita pubblica. Si tratta dell'unica opera di carattere scientifico scritta da Seneca pervenuta. Vi sono trattati i fenomeni atmosferici e celesti: è il frutto di un vasto lavoro di compilazione da svariate fonti soprattutto stoiche.

I sette libri De beneficiis, terminati nel 64, come attesta lo stesso Seneca nelle Epistulae ad Lucilium, trattano della essenza e delle modalità degli atti di beneficenza, del legame fra benefattore e beneficato, dei doveri di gratitudine che li regolano e delle conseguenze morali che colpiscono gli ingrati. L'opera sembra trasferire sul piano della morale individuale il progetto di una società equilibrata, si configura perciò come la proposta alternativa al fallimento di tale progetto.

L'opera in cui Seneca espone più compiutamente la sua concezione del potere è il De clementia, dedicato a Nerone (55-56) come traccia di un ideale programma politico ispirato a equità e moderazione. Seneca non mette in discussione la legittimità costituzionale del principato, né le forme apertamente monarchiche che esso ha ormai assunto, infatti, il potere unico è il più conforme alla concezione stoica. Il problema, piuttosto, è quello di avere un buon sovrano, ma in un regime di potere assoluto, privo di forme di controllo esterno, solo la coscienza del sovrano stesso può impedirgli di governare in modo tirannico. La clemenza deve guidare i suoi rapporti coi sudditi. In tal modo egli potrà ottenere consenso e fedeltà, che sono la più sicura garanzia di stabilità di uno stato. Tale concezione di un principato illuminato e paternalistico, che affida alla coscienza del sovrano la possibilità di instaurare un buon governo, fa sì che l'educazione del princeps assuma un ruolo essenziale e la filosofia sia garante e ispiratrice della direzione politica dello stato. Seneca si adoprò a lungo per realizzare un valido equilibrio tra un sovrano moderato e un senato salvaguardato nei suoi diritti di libertà e dignità aristocratica, ma la rapida degenerazione del governo di Nerone vanificò il tentativo e Seneca dovette accentuare progressivamente l’azione di convincimento sulle coscienze dei singoli.

Le Epistole a Lucilio: la lettera filosofica come genere letterario

Seneca, nella produzione successiva al ritiro dalla scena politica (62), volse la sua attenzione alla coscienza individuale. L'opera principale della sua produzione più tarda, e la più celebre in assoluto, sono le Epistulae ad Lucilium, una raccolta di lettere di differente estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario argomento indirizzate all'amico Lucilio (personaggio di origini modeste, proveniente dalla Campania, assurto al rango equestre e a varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore).

Verosimilmente si tratta di un epistolario reale (varie lettere richiamano quelle di Lucilio in risposta), integrato da lettere fittizie (quelle più ampie e sistematiche), inserite nella raccolta al momento della pubblicazione. L'opera, che è giunta incompleta e risale al periodo del disimpegno politico (62-63), costituisce un unicum nel panorama letterario e filosofico antico. L'idea di comporre lettere di carattere filosofico indirizzate ad amici viene da Platone e da Epicuro, ma Seneca è perfettamente consapevole di introdurre un nuovo genere nella cultura letteraria latina. Il filosofo distingue le lettere filosofiche dalla comune pratica epistolare, anche da quella di tradizione più illustre, rappresentata da Cicerone. Seneca prende come esempio Epicuro, il quale, nelle lettere agli amici, ha saputo realizzare quel rapporto di formazione e di educazione spirituale che Seneca istituisce con Lucilio.

Le lettere di Seneca vogliono essere uno strumento di crescita morale. Riprendendo un topos dell'epistolografia antica, Seneca sostiene che lo scambio epistolare permette di istituire un colloquium con l'amico, fornendo un esempio di vita che, sul piano pedagogico, è più efficace dell'insegnamento dottrinale. Seneca, proponendo ogni volta un nuovo tema, semplice e di apprendimento immediato, alla meditazione dell'amico discepolo, lo guida al perfezionamento interiore (per lo stesso motivo, nei primi tre libri, Seneca conclude ogni lettera con una sentenza che offre uno spunto di meditazione). Lo scrittore ritiene l'epistola lo strumento più adatto per la prima fase dell'educazione spirituale, fondata sull'acquisizione di alcuni principi basilari, più tardi, con l'accrescimento delle capacità analitiche del discente e del suo patrimonio dottrinale, sono necessari strumenti di conoscenza più impegnativi e complessi. La forma letteraria si adegua, quindi, ai diversi momenti del processo di formazione e le singole lettere, col procedere dell'epistolario, divengono sempre più simili al trattato filosofico.

Non meno importante dell'aspetto teorico è l'intento esortativo: Seneca vuole non solo dimostrare una verità, ma anche invitare al bene. Il genere epistolare si rivela appropriato ad accogliere un tipo di filosofia priva di sistematicità e incline alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Gli argomenti delle lettere, suggeriti per lo più dall'esperienza quotidiana, sono svariati, e nella varietà, nell'occasionalità e nel collegamento fra vita vissuta e riflessione morale, sono evidenti le affinità con la satira, soprattutto oraziana. Seneca parla delle norme cui il saggio si deve attenere, della sua indipendenza e autosufficienza, della sua indifferenza alle seduzioni mondane e del suo disprezzo per le opinioni correnti e propone l'ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante un'attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui. La considerazione della condizione umana che accomuna tutti i viventi lo porta ad esprimere una condanna del trattamento comunemente riservato agli schiavi, con accenti di intensa pietà che hanno fatto pensare al sentimento della carità cristiana: in realtà l'etica senecana resta profondamente aristocratica, e lo stoico che esprime pietà per gli schiavi maltrattati manifesta apertamente anche il suo irrevocabile disprezzo per le masse popolari abbrutite dagli spettacoli del circo. Nelle Epistole, l'otium è costante ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici impegnati nella ricerca della sapienza, ma anche agli altri, e che le Epistole possano esercitare il loro benefico influsso sulla posterità.

Lo stile

Il filosofo deve badare alla sostanza, non alle parole ricercate ed elaborate, che sono giustificate solo se, in virtù della loro efficacia espressiva, contribuiscono a fissare nella memoria e nello spirito un precetto o una norma morale. La prosa filosofica di Seneca è elaborata e complessa, caratterizzata dalla ricerca dell'effetto e dell'espressione concisamente epigrammatica. Seneca rifiuta la compatta architettura classica del periodo ciceroniano, che, nella sua disposizione ipotattica, organizza anche la gerarchia logica interna, e sviluppa uno stile eminentemente paratattico, che, nell'intento di riprodurre la lingua parlata, frantuma l'impianto del pensiero in un susseguirsi di frasi penetranti e sentenziose, il cui collegamento è affidato soprattutto all'antitesi e alla ripetizione.

Tale prosa antitetica all'armonioso periodare ciceroniano, rivoluzionaria sul piano del gusto e destinata a esercitare grande influsso sulla prosa d'arte europea, affonda le sue radici nella retorica asiana procedendo con un ricercato gioco di parallelismi, opposizioni, ripetizioni, in un succedersi di brevi frasi nervose e staccate, realizzando uno stile penetrante, drammatico, ma che non sa evitare una certa teatralità.

Le tragedie

Le tragedie ritenute autentiche sono nove (qualche dubbio sussiste per l' Hercules Oetaeus), tutte di soggetto mitologico greco.
  • L' Hercules furens è costruito sul modello dell'Eracle euripideo: Giunone provoca la follia di Ercole, uccide moglie e figli. Una volta rinsavito, e determinato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dal suo proposito e si reca infine ad Atene a purificarsi.
  • Le Troades è la contaminazione dei soggetti di due drammi euripidei, le Troiane e l'Ecuba. La tragedia rappresenta la sorte delle donne troiane prigioniere e impotenti dì fronte al sacrificio di Polissena, figlia di Priamo, e del piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca.
  • Le Phoenissae è l'unica tragedia senecana incompleta, improntata sulle Fenicie di Euripide e sull'Edipo a Colono di Sofocle. La vicenda ruota attorno al tragico destino di Edipo e all'odio che divide i suoi figli Etèocle e Polinice.
  • La Medea naturalmente si rifà a Euripide e forse anche a un'omonima, e fortunata, tragedia perduta di Ovidio. La tragedia narra la cupa vicenda della principessa della Colchide abbandonata da Giasone e assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui.
  • La Phaedra presuppone il celebre modello euripideo dell'Ippolito, di una tragedia perduta di Sofocle e della quarta delle Heroides ovidiane: tratta dell'incestuoso amore di Fedra per il figliastro Ippolito e del drammatico destino che si abbatte sul giovane, restio alle seduzioni della matrigna, la quale, per vendetta, ne provoca la morte denunciandolo al marito Teseo, padre di Ippolito.
  • L' Oedipus, ispirato all'Edipo Re sofocleo, narra il mito tebano di Edipo, inconsapevole uccisore del padre Laio e sposo della madre Giocasta. Alla scoperta della tremenda verità egli reagisce accecandosi.
  • L' Agamemnon, si ispira, assai liberamente, all'omonimo dramma di Eschilo. La tragedia rievoca l'assassinio del re, al ritorno da Troia, per mano della moglie Clitennestra e dell'amante Egisto.
  • Il Thyestes rappresenta una vicenda mitica già trattata in opere perdute di Sofocle e di Euripide. Atreo animato da odio mortale per il fratello Tieste, che gli ha sedotto la sposa, si vendica con un finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli.
  • Nell' Hercules Oetaeus (Ercole sull'Eta, il monte su cui si svolge l'evento culminante del dramma) modellato sulle Trachinie di Sofocle, è trattato il mito della gelosia di Deianira, che per riconquistare l'amore di Ercole innamoratosi di Iole, gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, creduto un filtro d'amore e in realtà dorato di potere mortale: tra dolori atroci Ercole si uccide ed è assunto fra gli dei.

Le tragedie di Seneca sono le sole opere tragiche latine pervenute in forma non frammentaria, costituiscono quindi, una testimonianza preziosa sia di un intero genere letterario, sia della ripresa del teatro latino tragico, dopo i vani tentativi attuati dalla politica culturale augustea per promuovere una rinascita dell'attività teatrale. In età giulio-claudia (27 AC–68 DC): e nella prima età flavia (69–96) l'élite intellettuale senatoria ricorse al teatro tragico per esprimere la propria opposizione al regime (la tragedia latina riprende ed esalta un aspetto fondamentale in quella greca classica, ossia l'ispirazione repubblicana e l'esecrazione della tirannide). Non a caso, i tragediografi di età giulio-claudia e flaviana furono tutti personaggi di rilievo nella vita pubblica romana.

Le tragedie di Seneca erano, forse, destinate soprattutto alla lettura, il che poteva non escludere talora, la rappresentazione scenica. la macchinosità, o la truce spettacolarità, di alcune scene, sembrerebbero presupporre, una rappresentazione scenica, mentre una semplice lettura avrebbe limitato, se non annullato, gli effetti ricercati dal testo drammatico. Le varie vicende tragiche si configurano come scontri di forze contrastanti e conflitto fra ragione e passione. Anche se nelle tragedie sono ripresi temi e motivi delle opere filosofiche, il teatro senecano non è solo un'illustrazione, sotto forma di exempla forniti dal mito, della dottrina stoica, sia perché resta forte la matrice specificamente letteraria, sia perché, nell'universo tragico, il logos, il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male.

Alle diverse vicende tragiche fa da sfondo una realtà dai toni cupi e atroci, conferendo al conflitto fra bene e male una dimensione cosmica e una portata universale. Un rilievo particolare ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, chiuso alla moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura e dall'angoscia. Il despota offre lo spunto al dibattito etico sul potere, che è importantissimo nella riflessione di Seneca. Di quasi tutte le tragedie senecane, restano i modelli greci, nei confronti dei quali Seneca ha una grande autonomia che però presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale l'autore opera interventi di contaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione nell'impianto drammatico. Il linguaggio poetico delle tragedie ha origine nella poesia augustea (cospicua la presenza di Ovidio), dalla quale Seneca mutua anche le raffinate forme metriche, come il particolare tipo di senario, già adottato dal teatro tragico augusteo. Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono soprattutto nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza alla frase sentenziosa, isolata, in netto rilievo, alimentata soprattutto dal gusto retorico del tempo. La stessa tendenza si manifesta anche nella frammentazione dei dialoghi (un verso per ogni personaggio) ed in una costante influenza della retorica asiana, percepibile nella continua tensione, nell'enfasi declamatoria, nello sfoggio di greve erudizione nelle tinte fosche e macabre. Spesso l'esasperazione della tensione drammatica è ottenuta mediante l'introduzione di lunghe digressioni, che alterano i tempi dello sviluppo scenico isolando singole scene come quadri autonomi, estraniati dal contesto della dinamica teatrale (forse "pezzi di bravura" destinati ad esser letti nelle sale di recitazione). Uno stile che costituisce un documento tra i più rappresentativi del gusto letterario contemporaneo.

Una decima tragedia, l' Octavia, rappresenta la sorte di Ottavia, la prima moglie di Nerone da lui ripudiata, perché innamorato di Poppea, e fatta uccidere. Sì tratta quindi di una tragedia di argomento romano, ossia una praetexta (l'unica rimasta), ma è certamente spuria, sia perché lo stesso Seneca vi compare come personaggio del dramma, sia perché la descrizione della morte di Nerone (avvenuta nel 68, tre anni dopo quella di Seneca), preannunciata dall'ombra di Agrippina, è troppo corrispondente alla realtà storica, inoltre l'autore, che mostra grande familiarità con l'intera produzione di Seneca, trasferire nella tragedia brani versificati tratti dalle opere filosofiche. L' Octavia quindi, fu scritta in un ambiente vicino a Seneca e pochi anni dopo la sua morte (70-80 DC).

L'Apokolokyntosis

Il Ludus de morte Claudii (o Divi Claudii apotheosis per saturam) è generalmente noto col nome di Apokolokyntosis, (parola che implicherebbe un riferimento a kolòkynta, cioè la zucca, forse come emblema di stupidità) parodia della divinizzazione di Claudio decretata dal senato alla sua morte. Nel testo senecano non si parla di zucche e l'apoteosi non ha luogo, il termine va inteso non come "trasformazione in zucca", ma come "deificazione di una zucca, di uno zuccone", Tacito (Annales XIII 3) afferma che Seneca aveva scritto la laudatio funebris dell'imperatore morto (pronunciata da Nerone), però, in occasione della divinizzazione di Claudio, che aveva suscitato le ironie degli stessi ambienti di corte e dell'opinione pubblica, potrebbe aver dato sarcastico sfogo al risentimento contro l'imperatore che lo aveva condannato all'esilio (l'opera sarebbe del 54).

Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all'Olimpo nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i quali lo condannano invece a discendere, come tutti i mortali, agli inferi, dove egli finisce schiavo del nipote Caligola e da ultimo viene assegnato al liberto Menandro: una condanna di contrappasso per chi aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi potenti liberti. Allo scherno per l'imperatore defunto Seneca contrappone, all'inizio dell'opera, parole di elogio per il suo successore, preconizzando nel nuovo principato un'età di splendore e di rinnovamento. L'opera rientra nel genere della satira menippea (così detta da Menippo di Gàdara, vissuto nel III secolo AC, l'iniziatore di questa forma, carica di valenze polemiche), e alterna perciò prosa e versi di vario tipo, in un impasto linguistico e stilistico che accosta i toni piani delle parti prosastiche a quelli spesso parodicamente solenni delle parti metriche, con beffarde incursioni nel lessico volgare.

Gli epigrammi

Sotto il nome di Seneca, sono state trasmesse anche alcune decine di epigrammi in distici, quasi certamente spuri.

(Vedi: Portale Filosofia | Progetto Filosofia)


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