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Tacito

Publio (o Gaio) Cornelio Tacito (55 - 117).

Publio (o Gaio) Cornelio Tacito nacque nel 55 DC, probabilmente nella Gallia Narbonese, da una famiglia forse di condizione equestre. Studiò a Roma, e nel 78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, autorevole statista e comandante militare. Anche grazie all'aiuto di quest'ultimo, iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto Tito e Domiziano. Dopo essere stato pretore nell'88, Tacito fu per qualche anno lontano da Roma, per un incarico in Gallia o in Germania. Nel 97, sotto il regno di Nerva, fu consul suffectus. sotto il principato di Traiano, sostenne, insieme all'amico Plinio il Giovane, l'accusa dei provinciali d'Africa contro l'ex governatore Mario Prisco, accusato di corruzione. Il processo si concluse nel 100, con la condanna di Prisco all'esilio. In seguito, Tacito fu proconsole in Asia nel 112 o 113. Morì nel 117.

Table of contents
1 Opere
2 Dialogus de oratoribus
3 De vita Iulii Agricolae
4 Germania
5 Historiae
6 Annales (Ab excessu divi Augusti)
7 Le fonti di Tacito

Opere

  • De vita lulii Agricolae, pubblicata nel 98;
  • De origine et situ Germanorum (noto come Germania), dell'88;
  • Dialogus de oratoribus, dedicato a Fabio Giusto, console nel 102;
  • Historiae, (incomplete) composte fra il 100 e il 110;
  • Annales (o Ab excessu divi Augusti), (pervenuti parzialmente) composti successivamente alle Historiae e, forse, rimasti incompleti per la morte dell'autore.

Non si conosce il numero rispettivo dei libri che componevano le Historiae e gli Annales: inoltre le due opere, in origine pubblicate separatamente, cominciarono ben presto a circolare in una edizione congiunta di trenta libri, dove gli Annales (con inversione della cronologia della composizione) precedevano le Historiae, a formare una narrazione continua della storia romana dalla morte di Augusto (14) alla morte di Domiziano (96).

Dialogus de oratoribus

Il Dialogus de oratoribus probabilmente è stato composto dopo l' Agricola e la Germania. Varie caratteristiche isolano il Dialogus dal complesso dell'opera di Tacito, tanto da renderne dubbia l'autenticità, pur essendo stato tramandato nella tradizione manoscritta insieme all' Agricola e alla Germania. In effetti il periodare del Dialogus ricorda più il modello neociceroniano, forbito ma non prolisso, cui si ispirava l'insegnamento della scuola di Quintiliano, che non la severa e asimmetrica inconcinnitas tipica delle maggiori opere storiografiche di Tacito. Potrebbe essere un'opera giovanile e la dedica a Fabio Giusto si riferirebbe all'epoca della pubblicazione, ma è più probabile che l'insolita classicità dello stile sia da spiegarsi con l'appartenenza del Dialogus al genere retorico, per il quale struttura, lingua e stile delle opere retoriche di Cicerone costituivano un modello usuale.

Il Dialogus de oratoribus, ambientato nel 75 o nel 77, si riallaccia alla tradizione dei dialoghi ciceroniani su argomenti fllosofici e retorici. In un primo momento si contrappongono i discorsi in difesa dell'eloquenza e della poesia. L'andamento del dibattito in seguito si sposta sul tema della decadenza dell'oratoria e ne indica le cause nel deterioramento dell'educazione sia familiare, sia scolastica, del futuro oratore, non più accurata come nei tempi antichi: i maestri sono impreparati e una vacua retorica spesso si sostituisce alla cultura generale. Dopo una sezione parzialmente lacunosa, il dialogo conclude con un discorso che riporta l'opinione di Tacito, il quale sostiene che una grande oratoria era possibile con la libertà, anzi con l'anarchia, che regnava al tempo della repubblica, durante i conflitti civili, ma diviene anacronistica, e impraticabile nella società tranquilla e ordinata conseguente alla instaurazione dell'Impero, quindi, la pace che esso garantisce deve essere accettata senza rimpianti per un passato che pure forniva un terreno più favorevole al rigoglio delle lettere e alla fioritura delle grandi personalità. Infatti, alla base di tutta l'opera di Tacito c’è l'accettazione dell'impero come unica forza in grado di salvare lo stato dal caos delle guerre civili. Il principato restringe lo spazio per l'oratore e l'uomo politico, ma al principato non esistono alternative, però Tacito non accetta apaticamente il regime imperiale, ed indica la residua possibilità di effettuare scelte dignitose e utili allo stato. Tale tema è affrontato anche nella biografia di Agricola.

De vita Iulii Agricolae

Verso gli inizi del regno di Traiano (98), Tacito approfittò della diffusa atmosfera di libertà dopo la tirannide di Domiziano, per pubblicare il suo primo opuscolo storico, in ricordo del suocero Giulio Agricola, principale artefice della conquista di gran parte della Britannia sotto il regno di Domiziano, e leale funzionario imperiale. Per il tono encomiastico l' Agricola si richiama in parte allo stile delle laudationes funebri: rapido riepilogo della carriera del protagonista prima dell'incarico in Britannia, conquista dell'isola, digressioni geografiche ed etnografiche, che derivano da appunti e ricordi di Agricola, ma anche dai Commentari di Cesare. A causa delle diffuse digressioni, l' Agricola pare talora eccedere i limiti di una semplice biografia, ma, in realtà, la Britannia è soprattutto il teatro delle brillanti imprese di Agricola.

Nell'elogiare il carattere del suocero, Tacito mette in rilievo come egli, governatore della Britannia e capo di un esercito in guerra, avesse saputo servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza anche sotto un pessimo principe come Domiziano (le critiche a quest'ultimo e al suo regime di spionaggio e di repressione sono più volte presenti). Agricola, restando incorrotto tra la generale corruzione, cadde in disgrazia presso Domiziano e morì, senza cercare la gloria di un martirio ostentato, (come il suicidio degli stoici) che Tacito condanna in quanto di nessuna utilità allo stato. Sulle reali cause della morte, naturale o voluta da Domiziano, Tacito tace, ma allude al fatto che a Roma si mormorava che Agricola era stato avvelenato per ordine dell'imperatore. L'esempio di Agricola indica come, senza obbligatoriamente correre gravi pericoli, anche sotto la tirannide sia possibile mantenere un comportamento corretto ed intermedio tra servilismo e sterile opposizione.

L'elogio di Agricola è un'apologia della parte "sana" della classe dirigente, formata da uomini che, privi del gusto del martirio, avevano collaborato coi principi della casa Flavia contribuendo validamente all'elaborazione delle leggi, al governo delle province, all'ampliamento dei confini e alla difesa delle frontiere, uomini che, una volta ricuperata la libertà, non avrebbero ritenuto giustificata un'indiscriminata condanna del loro operato e del servizio da essi prestato allo Stato. L' Agricola è connotato da un forte atteggiamento antitirannico. Tacito contrappone al dispotismo di Domiziano i meriti di Agricola, integerrimo funzionario e valoroso comandante, secondo il modello proposto dal mos maiorum. Lo scrittore, implicitamente, sostiene che, poiché l'impero deve essere accettato come un male necessario, bisogna conservare la propria dignità senza confondere le proprie responsabilità con quelle di chi, come Domiziano, esercita un potere dispotico ed arbitrario. Si può essere onesti e scrupolosi funzionari, agendo serenamente e collaborando con il regime, nell'ambito delle proprie mansioni e nell'interesse dello Stato, in attesa di tempi migliori, quali sono quelli dello scrittore che può finalmente scrivere liberamente.(l'opera è del 98, dopo l’ascesa al trono di Traiano).

L' Agricola contamina diversi generi letterari: si tratta di un panegirico sviluppato in biografia, di una laudatio funebris inframmezzata, ampliata e integrata con materiali storici ed etnografici. L'opuscolo, perciò, risente di modi stilistici diversi. Nell'esordio, nei discorsi, e nella perorazione finale è notevolissima l'influenza di Cicerone, nelle parti narrative ed etnografiche si avvertono ambedue i modelli di stile storico, quello sallustiano (inconcinnitas, arcaismi, paratassi, sobrietà) e quello liviano (stile oratorio ampio, fluido, ipotassi, drammatizzazione).

Germania

Gli interessi etnografici, sono al centro della Germania che è l'unica testimonianza superstite della letteratura etnografica che ebbe fortuna a Roma. Gli interessi etnografici a Roma, risalgono al De bello Gallico di Cesare, che aveva descritto il sistema di vita dei Germani. Le notizie etnografiche contenute nella Germania derivano da fonti scritte, probabilmente dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, che aveva preso parte a spedizioni nelle terre dei Germani. Tacito ha, probabilmente, seguito la sua fonte con fedeltà, accontentandosi di migliorarne e impreziosirne lo stile e di aggiornare le notizie (quelle di Plinio erano di quarant'anni prima), tuttavia la Germania sembra spesso descrivere la situazione come si presentava prima che gli imperatori flavi avanzassero oltre il Reno ed il Danubio. La Germania contrapporre la civiltà dei barbari, ingenua e primordiale, ma ricca di energia e non ancora corrotta dai vizi alla civiltà decadente dei Romani. Insistendo sulla forza e sul valore guerriero dei Germani, Tacito ha probabilmente inteso sottolineare la loro pericolosità per l'Impero. Tacito mostra un particolare interesse per la frontiera con i Germani sia perché è convinto della pericolosità delle popolazioni settentrionali, sia perché in quella direzione vi sono maggiori possibilità di espansione per l'impero.

Historiae

In uno dei capitoli iniziali dell' Agricola, Tacito manifesta l'intenzione di narrare gli anni di Domiziano, di Nerva e di Traiano. Nelle Historiae il progetto appare modificato: la parte rimasta contiene la narrazione degli eventi degli anni 69-70, dal regno di Galba fino alla rivolta giudaica, l'opera doveva estendersi fino al 96, l'anno della morte di Domiziano. Nel proemio, Tacito afferma di riservare per la vecchiaia la trattazione dei principati di Nerva e di Traiano. Le Historiae affrontavano un periodo aperto dalle guerre civili e concluso dalla tirannide. Il 69, aveva visto succedersi quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano) ed era ormai palese che il principe poteva essere eletto altrove che a Roma, poiché la sua forza si basava principalmente sull'appoggio delle legioni.

Tacito scrisse le Historiae trent'anni dopo, ma la ricostruzione degli avvenimenti dell'anno dei quattro imperatori avvenne nel contesto dell'ascesa al potere di Traiano, con un evidente richiamo ad alcuni fatti del 69: il predecessore di Traiano, Nerva, come Galba, era salito al trono per designazione senatoria, dopo la morte violenta del predecessore (Domiziano) ed aveva dovuto affrontare una rivolta di pretoriani e, come Galba, aveva designato per adozione un successore, però, Galba, che Tacito descrive come un vecchio senza energie, aveva scelto un successore incapace, per il suo rigorismo, di ottenere la fiducia ed il controllo delle truppe. Nerva aveva invece consolidato il proprio potere associando al trono Traiano, autorevole comandante dell'armata della Germania Superiore e ben accetto all’esercito. Probabilmente, Tacito partecipò al consiglio imperiale nel quale, respingendo ogni posizione anacronistica, fu decisa l'adozione di Traiano. Con il discorso fatto pronunciare a Galba nel primo libro delle Historiae, lo storico chiarisce la propria posizione ideologica e politica, mostrando come il mero ossequio delle forme e la mancanza di realismo politico resero Galba incapace di controllare gli avvenimenti.

L'adozione di Traiano, uomo capace di mantenere l'unità degli eserciti e di controllarli senza farne gli arbitri dell'impero, placò invece i tumulti fra le legioni e pose fine a ogni rivalità. Tacito era convinto che solo il principato potesse garantire la pace, la fedeltà degli eserciti e la coesione dell'Impero. Nel proemio delle Historiae, accennando all'ascesa di Augusto, afferma che dopo la battaglia di Azio l'accentramento del potere nelle mani del principe fu indispensabile per il mantenimento della pace. Il principe non deve essere un tiranno come Domiziano, né un inetto come Galba, deve invece possedere la capacità di reggere l'impero salvaguardando il prestigio e la dignità del senato (vedi Seneca). Tacito, senza farsi soverchie illusioni, addita l'unica soluzione possibile nel principato moderato degli imperatori d'adozione.

Lo stile narrativo delle Historiae, coerentemente con il repentino susseguirsi degli avvenimenti, ha un ritmo serrato, che non concede all'azione di affievolirsi o di ristagnare. Ciò ha costretto Tacito a sintetizzare i dati forniti dalle fonti: a volte omette qualcosa, ma, generalmente, suddividendo il racconto in singole scene, conferisce drammaticità alla narrazione. Tacito è maestro nella descrizione delle masse, sa efficacemente dipingere la folla tranquilla, il suo insorgere minaccioso o il suo disperdersi in preda al panico. L'aristocratico Tacito lascia trapelare sia un timore misto a disprezzo per le turbolenze dei soldati e della feccia della capitale, sia la disistima per i suoi pari, i membri del senato, il cui comportamento è descritto con malizia, insistendo sul contrasto fra apparenza e realtà inconfessabile: l'adulazione, gli intrighi e l'ambizione. Le Historiae raccontano violenze, disonestà e ingiustizie. Tacito delinea abilmente i caratteri, alternando notazioni brevi e incisive a ritratti compiuti. La tecnica tacitiana del ritratto mostra numerose affinità con Sallustio: inconcinnitas, paratassi, strutture stilistiche slegate, contrasti per rendere incisivi i personaggi. Lo stile di Sallustio influenza tutta la narrazione di Tacito, che tuttavia ha saputo svilupparlo accentuando la tensione fra gravitas arcaizzante e pathos drammatico. Tacito ama le ellissi di verbi e congiunzioni, ricorre a costrutti irregolari e a frequenti cambi di soggetto per conferire varietà e movimento alla narrazione. Quando una frase sembra terminata, spesso la prolunga con una "coda" a sorpresa, la quale aggiunge un commento di preferenza allusivo o indiretto.

Annales (Ab excessu divi Augusti)

Tacito non mantenne il proposito di narrare la storia dei principati di Nerva e Traiano. Terminate le Historiae, egli, negli Annales, intraprese il racconto della storia del principato, dalla morte di Augusto (14) a quella di Nerone (68). La data scelta da Tacito per l'inizio degli Annales ed il titolo (Ab excessu divi Augusti) che ricorda quello dell'opera di Livio (ab Urbe condita) fanno supporre che egli intendesse proseguire l'opera di Livio (probabilmente il progetto di Livio, interrotto dalla morte, prevedeva la trattazione dell’intero principato di Augusto). Degli Annales si sono conservati i libri I-IV, un frammento del V e parte del VI, comprendenti il racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto (14 DC) a quella di Tiberio (37 DC), e i libri XI-XVI, col racconto dei regni di Claudio e di Nerone (il libro XI è lacunoso e il XVI è mutilo, arrestandosi agli eventi del 66).

Negli Annales, Tacito mantiene la tesi della necessità del principato; ma mentre ribadisce che Augusto ha garantito la pace all'Impero dopo lunghi anni di guerre civili, lo storico conferisce un’atmosfera tetra alla vita sotto i Cesari. La storia del principato è anche la storia del tramonto della libertà politica dell'aristocrazia senatoria decaduta moralmente, corrotta e servile nei confronti del principe. Scarsa simpatia lo storico dimostra anche, come nell' Agricola, verso coloro che scelgono l'opposta via dell'inutile martirio, con vani suicidi filosofici. Prosperava, dall'età neroniana, una letteratura di exitus illustrium virorum. Non a caso, descrivendo il suicidio di Petronio, Tacito insiste sul capovolgimento ironico del modello filosofico operato dal personaggio. Nel generale squallore, tuttavia, la parte sana della élite politica continua ad impegnarsi onestamente nel governo delle province e nella guida degli eserciti. La storiografia tragica, ricca di avvenimenti drammatici ha negli Annales un ruolo di primo piano. I drammi di anime che Tacito narra, non mirano, però a suscitare le emozioni, infatti, all'intensa componente tragica della sua storiografia Tacito assegna soprattutto la funzione di scavare nell'animo dei personaggi per portare alla luce, passioni e ambiguità. Le passioni dominanti nei personaggi tacitiani (con l'eccezione parziale di Nerone, figura a tratti patologica) sono quelle politiche: la brama di potere, l'ambizione e la scalata sociale, cui spesso si accompagnano invidia, ipocrisia e presunzione. sono difetti da cui nessuna classe o individuo va esente. Rispetto all'ambizione, alla vanità e alla cupidigia di potere, le altre passioni hanno un ruolo secondario.

Negli Annales Tacito perfeziona l'arte del ritratto, già sapientemente impiegata nelle Historiae. Il vertice è forse il ritratto di Tiberio, del tipo indiretto: lo storico fa sì che esso si delinei progressivamente attraverso una narrazione sottolineata qua e là da osservazioni e commenti. Tacito ama il ritratto morale più di quello fisico. È presente, come già nelle istoriae, anche il ritratto del tipo paradossale: l'esempio più notevole è Petronio. Il fascino del personaggio è proprio nei suoi aspetti contraddittori: la mollezza della sua vita contrasta con l'energia e la competenza dimostrate quando ha ricoperto importanti cariche pubbliche. Petronio affronta la morte quasi come un'ultima voluttà, dando contemporaneamente prova di autocontrollo, di coraggio e di fermezza: in voluta polemica con la tradizione del suicidio teatrale degli stoici, si intrattiene con gli amici su argomenti leggeri. Senza fare del personaggio un modello, Tacito implicitamente suggerisce che la sua grandezza d'animo è più salda di quella ostentata nella morte dai martiri stoici.

Lo stile degli Annales è cambiato rispetto a quello delle Historiae: si allontana sempre più dalla norma e dalla convenzione in una ricerca di straniamento che si esprime nella predilezione per forme inusitate, per un lessico arcaico e solenne. Rispetto alle Historiae, gli Annales sono meno scorrevoli, più concisi e austeri e si accentua il gusto per la inconcinnitas, le disarmonie verbali riflettono la disarmonia degli eventi e le ambiguità nel comportamento umano, abbondano le metafore violente e l'uso audace delle personificazioni. È frequente la coloritura poetica, soprattutto virgiliana. All'interno degli Annales si registra tuttavia una certa modificazione dello stile: dal libro XIII Tacito usa moduli più tradizionali, meno lontani dai principi del classicismo. Lo stile si fa più ricco ed elevato, meno serrato, acre e insinuante, nella scelta dei sinonimi, lo storico passa dalle espressioni scelte e decorative a quelle più sobrie e normali. Forse il regno di Nerone, abbastanza vicino nel tempo, è trattato con minore solennità di quello ormai remoto di Tiberio, che sembrava ancora radicato nell'antica res publica. Qualche trascuratezza notata soprattutto nei libri XV e XVI ha fatto pensare che gli Annales non abbiano ricevuto l'ultima revisione.

Le fonti di Tacito

Tacito poté consultare la documentazione ufficiale: gli acta senatus (verbali delle sedute) e gli acta diurna populi Romani (atti del governo e notizie su quanto avveniva a corte e nella capitale). Inoltre lo storico poteva consultare le raccolte di discorsi di alcuni imperatori, come Tiberio e Claudio. Tacito fu senz'altro uno storico assai scrupoloso (la sua non comune precisione è elogiata in una lettera di Plinio il Giovane). Numerose sono le fonti storiche e letterarie, utilizzate con libertà e alternando fonti di opposta tendenza. Lo stesso Tacito menziona alcune fra le proprie fonti, tra cui Plinio il Vecchio, che aveva scritto Bella Germaniae ed una storia continuazione di quella di Aufidio Basso. Tacito poté inoltre servirsi di letteratura epistolografica e memorialistica ed attinse a quel vasto genere letterario che va sotto il nome di exitus illustrium virorum: una libellistica di opposizione che narrava il sacrificio dei martiri della libertà, soprattutto di coloro che avevano affrontato il suicidio ispirandosi alle dottrine stoiche. Di questa letteratura Tacito si servì soprattutto per conferire drammaticità al proprio racconto, non perché apprezzasse tale genere di suicidio gli appariva un’ambiziosa ostentazione, politicamente improduttiva.

Tacito trovò un ammiratore entusiasta in Plinio il Giovane, ma la sua fortuna incominciò nel IV secolo, i riecheggiamenti da parte di vari scrittori mostrano che egli era fra gli autori letti comunemente. Durante l'Umanesimo e nel primo Rinascimento, a Tacito venne spesso preferito Livio. Guicciardini indicò in lui il maestro che insegnava a fondare le tirannidi. Su questa linea, l'epoca della Controriforma e delle monarchie assolute vide nell'opera di Tacito un complesso di regole e di principi direttivi dell'agire politico di tutti i tempi. Tacito fu talora usato, dai teorici della ragione di stato, come pretesto alla formulazione di una teoria dell'idea imperiale, ma gli estimatori di Tacito seppero trarre dalla sua opera anche l'indicazione di come vivere sotto i tiranni evitando sia il servilismo, sia una sterile opposizione. È una linea di pensiero che arriva a Diderot e alla sua giustificazione (attraverso un'apologia di Seneca) della collaborazione del filosofo coi sovrani. Le generazioni dell'illuminismo considerarono Tacito soprattutto l'oppositore della tirannide. In campo letterario, alcuni grandi tragici, come Corneille, Racine e l'Alfieri, trassero da Tacito materia e ispirazione per i loro tormentati personaggi.


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