Otone
Marco Salvio Otone Roma, Musei Vaticani |
Otone apparteneva ad una antica e nobile famiglia etrusca residente a Ferentino in Etruria. Sembrava inizialmente essere uno dei più incauti e stravaganti giovani che circondavano Nerone. Questa amicizia fu interrotta bruscamente nel 58 a causa di una donna. Poppea era stata presa al marito da Nerone per farne la sua amante. La decenza richiedeva che lei fosse maritata e così l'imperatore la diede in moglie al suo favorito Otone convinto che non avrebbe avuto problemi da questi. Ma Otone si innamorò di lei e, quando venne il momento, rifiutò di mandarla a Nerone. Dopo minacce e appelli dell'imperatore, il matrimonio fu annullato ed Otone mandato come governatore nella remota provincia di Lusitania.
Otone rimase in Lusitania per i successivi dieci anni, amministrando la provincia con moderazione non comune a quel tempo. Quando, nel 68, il suo "vicino" Galba, governatore della Spagna Tarragonese, si rivoltò contro Nerone, Otone lo accompagnò a Roma. Il risentimento per il trattamento che aveva ricevuto da Nerone può averlo spinto a questo, ma a tale motivazione certamente si aggiunge l'ambizione personale. Galba non aveva figli ed era avanti negli anni ed Otone, incoraggiato anche dalle predizioni degli astrologi, aspirava a succedergli. Ma nel gennaio del 69 le sue speranze furono raffreddate dall'adozione formale da parte di Galba di Lucio Calpurnio Pisone, uomo scelto casualmente una mattina in un'udienza.
Non rimaneva ad Otone che incassare il colpo. Disperato per lo stato delle sue finanze, a causa delle sue precedenti stravaganze, trovò il danaro per pagare i servizi di ventitré pretoriani. La mattina del 15 gennaio, solo cinque giorni dopo l'adozione di Pisone, presentò i suoi omaggi all'imperatore, e si scusò frettolosamente per certi suoi affari che lo richiamavano d'urgenza al Palatino. Egli quindi fu scortato al campo dei pretoriani, dove, dopo pochi momenti di sorpresa e indecisione, fu acclamato imperatore.
Con un'imponente scorta tornò verso il Foro, ed ai piedi del Campidoglio incontrò Galba, che, allarmato da vaghi "rumori" di rivolta, si dirigeva verso un assembramento di cittadini stupefatti verso gli alloggiamenti della truppa. La coorte di stanza al Palatino, che scortava l'imperatore, immediatamente lo abbandonò. Galba, suo figlio appena adottato Pisone ed altri furono brutalmente uccisi dai pretoriani. La scaramuccia finì, Otone tornò in trionfo all'accampamento, e lo stesso giorno ricevette l'investitura dai senatori con il nome di "Augusto", il potere tribunizio ed altre dignità appartenenti all'imperatore. Otone dovette il suo successo al risentimento covato dai pretoriani e dal resto dell'esercito per il rifiuto di Galba di pagare le somme promesse a chi aveva supportato la sua ascesa al trono. La popolazione della città non gradiva Galba e rimpiangeva la memoria di Nerone. Il primo atto di Otone come imperatore mostrò che egli teneva bene in conto questo fatto.
Otone accettò, o finse di accettare, il soprannome di "Nerone" datogli per acclamazione dal popolo, che a lui lo assimilava per il suo aspetto femmineo. Furono di nuovo installate statue di Nerone, i suoi liberti e la sua servitù furono richiamati, e fu annunciata l'intenzione di completare la Domus Aurea. Allo stesso trempo i timori dei più sobri e rispettabili cittadini furono dissipati dalle dichiarazioni liberali di Otone sulle sue intenzioni di governare con giustizia, e dal suo clemente giudizio nei riguardi di Mario Celso, console designato e devoto seguace di Galba.
Ma ogni ulteriore sviluppo della politica di Otone, fu messo alla prova dalla notizia che raggiunse Roma subito dopo la sua salita al trono, che l'esercito in Germania aveva acclamato Vitellio, comandante delle legioni del basso Reno, il quale già stava avanzando verso l'Italia. Dopo un vano tentativo di accordo con Vitellio con l'offerta di dividere l'impero, Otone con vigore inaspettato, si preparò alla guerra. C'era da aspettarsi poco aiuto dalle provincie lontane che pure avevano accettato il suo regno; ma le legioni di Dalmazia, Pannonia e Mesia erano affidabili per la sua causa, le coorti dei pretoriani erano di per sè una forza formidabile ed una flotta efficiente gli dava il dominio dei mari italiani.
La flotta fu disposta a protezione della Liguria e, il 14 marzo Otone, spaventato da prodigi e presagi, partì verso il Nord alla testa delle sue truppe, nella speranza di impedire l'ingresso in Italia degli eserciti di Vitellio. Ma per questo era troppo tardi, e tutto ciò che potè fare fu di mandare le truppe a Piacenza e tenere la linea del Po. Le avanguardie di Otone difesero con successo Piacenza contro Alieno Cecina, e costrinsero quel generale a ripiegare su Cremona. Ma l'arrivo di Fabio Valente alterò gli equilibri.
A questo punto i generali di Vitellio si risolsero a dare la battaglia decisiva, ed i loro piani furono facilitati dalle opinioni divise e incerte che prevalevano nel campo di Otone. Gli ufficiali più esperti sostenevano l'importanza di evitare una battaglia, almeno fino all'arrivo delle legioni dalla Dalmazia. Ma l'avventatezza di Tiziano, fratello dell'imperatore e di Proculo prefetto della Guardia pretoriana, aggiunte all'impazienza di Otone, sopraffecero ogni opposizione, e fu decisa un'avanzata immediata ed Otone rimase indietro con notevoli forze di riserva a Brescello sulla riva meridionale del Po. Quando fu presa questa decisione, l'esercito di Otone aveva già traversato il Po ed era accampato a Bedriaco, piccolo villaggio sulla "Via Postumia", posto sul percorso da cui dovevano arrivare le legioni dalla Dalmazia
La battaglia di Bedriaco (14 aprile 69) - Lasciando un forte distaccamento a tenere il campo di Bedriaco, le forze di Otone avanzarono lungo la "Via Postumia" in direzione di Cremona. A breve distanza da questa città , inaspettatamente incontrarono le truppe di Vitellio. Gli Otoniani erano in svantaggio, combatterono disperatamente, ma alla fine furono costretti a ripiegare in disordine verso il loro campo di Bedriaco. Là , il giorno successivo, li seguì Vitellio vittorioso ma solo per cessare le ostilità con lo scoraggiato nemico, e per essere accolto nel campo come un amico.
Ancora più inaspettato fu l'effetto prodotto a Brescello dalle notizie della battaglia. Otone era ancora al comando di una forza formidabile: le legioni della Dalmazia avevano già raggiunto Aquileia e lo spirito dei soldati e dei loro ufficiali era intatto. Ma egli si risolse ad accettare il verdetto della battaglia che la sua stessa impazienza aveva affrettato. Con un solenne discorso si accomiatò da chi gli era intorno e ritiratosi per riposare, dormì profondamente qualche ora. La mattina presto si trafisse il cuore con una spada che aveva nascosto sotto il cuscino, e morì mentre il suo attendente entrava. Il suo funerale fu celebrato subito, secondo il suo desiderio, e non pochi dei suoi soldati seguirono il suo esempio uccidendosi sulla sua pira. A Brescello fu eretta in suo onore una modesta tomba con la semplice iscrizione: Diis manibus Marci Otonis.
Otone aveva solo 37 anni ed aveva regnato appena tre mesi.
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